Ogni anno, l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INPS) e le testate italiane celebrano con enfasi le cifre milionarie destinate al cosiddetto Assegno Unico Universale. E quest’anno la notizia sembrerebbe da prima pagina: nel primo semestre del 2025 sono stati erogati alle famiglie ben 9,8 miliardi di euro. Un fiume di denaro che, sommato ai 19,9 miliardi del 2024 e ai 18,2 del 2023, farebbe gridare al miracolo del welfare all’italiana. Ma cosa si cela davvero dietro questi numeri apparentemente faraonici? Scopriamolo qui sotto.
I dati che ‘abbagliano’ sull’Assegno Unico Universale
Rileggendo i dati forniti dall’Osservatorio Statistico sull’Assegno Unico Universale, balza subito agli occhi la retorica: 9,7 milioni di figli e 6,1 milioni di nuclei familiari raggiunti, un importo medio per figlio a giugno 2025 di 170 euro. Sembra una cifra ragguardevole, ma basta una calcolatrice per accorgersi di quanto sia in realtà mediamente marginale l’impatto di questa misura per le famiglie italiane.In particolare, per chi non presenta l’ISEE o supera la soglia massima, si parla di appena 57 euro al mese per figlio. Per la famiglia più “fortunata” (ISEE sotto 17.227,33 euro), il massimo è di 224 euro. Una cifra che, spalmata sulle necessità reali di un minore, sbiadisce velocemente di fronte ai costi elementari della vita quotidiana: scuola, abbigliamento, attività sportive, alimentazione sana, cure mediche.
Una distribuzione che divide
Il termine “universale” dovrebbe evocare uguaglianza. La realtà? L’Assegno Unico, come molte politiche sociali all’italiana, è profondamente segmentato e a tratti discriminatorio. Il peso dell’ISEE incentiva, almeno sulla carta, un supporto ai meno abbienti, ma nella pratica ci troviamo di fronte a una selva burocratica che spesso penalizza proprio chi ha più bisogno del sostegno. Da un lato, chi non presenta l’ISEE perché privo delle risorse o della pazienza necessaria, viene relegato alle briciole.
Dall’altro, chi supera di poco la soglia viene rapidamente “riportato sulla terra”: i 170 euro medi per figlio sono solo un’illusione statistica. Non sorprende allora che molte famiglie scelgano di non perdere tempo con la burocrazia, rinunciando di fatto a un beneficio che dovrebbe essere “unico” e “universale”.
La propaganda del welfare e il silenzio sui problemi reali
Ciò che però più colpisce è l’enfasi su queste cifre a sei zeri, presentate come se fossero la panacea di tutti i mali della natalità e della povertà. Nessuna menzione dei veri nodi strutturali: l’Italia rimane tra i Paesi europei con una delle natalità più basse e una delle più alte incidenze di povertà minorile.
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A cosa serve esultare per 9,8 miliardi distribuiti, quando il costo medio di mantenimento di un figlio continua a salire e gli stipendi stagnano? E che dire delle disparità territoriali? Perché non si forniscono dati disaggregati, per capire se i soldi vengono davvero destinati alle regioni più in difficoltà? Troppe domande rimangono nel limbo della comunicazione istituzionale e di Governo.
Il paradosso dell’Assegno Unico
Compilando i moduli e rincorrendo l’ennesima certificazione ISEE, milioni di famiglie incassano qualche decina di euro al mese. Un sostegno che, seppur meglio di niente, non basta certo ad invertire la rotta del crollo demografico, né a proteggere le generazioni più giovani dalla precarietà e dall’emarginazione sociale.
Di fronte alla propaganda delle cifre, occorre quindi chiedersi: vogliamo davvero limitarci a un’elemosina mascherata da ‘rivoluzione sociale’? O sarebbe più onesto riconoscere che l’Assegno Unico Universale, così come congegnato, rischia di essere solo un altro specchietto per le allodole? Finché le istituzioni non saranno disposte a investire in modo strutturale e significativo sulle famiglie, la retorica delle grandi cifre continuerà a scontrarsi con le piccole, ma dure, realtà quotidiane.