Certificazione unica provvisoria, perché serve per pagare meno tasse

Redazione

22 Settembre 2025

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La certificazione unica provvisoria è una vera alleata per chi cambia datore di lavoro durante l’anno. Serve infatti a fornire al nuovo datore tutte le informazioni fiscali già “maturate”, così da evitare sorprese in dichiarazione dei redditi o, peggio ancora, di pagare imposte doppie e inutili. Vediamo qui sotto tutti i dettagli.

Certificazione unica provvisoria: che cos’è e a cosa serve

Quando un lavoratore lascia un’azienda per iniziare un nuovo lavoro da dipendente, non deve dimenticare di procurarsi la CU provvisoria dal vecchio datore di lavoro. Questo documento riassume:

  • I redditi già percepiti
  • I contributi versati
  • Le tasse trattenute
  • I dettagli sul TFR.

Insomma, la certificazione unica provvisoria contiene tutti dati che il nuovo datore userà per calcolare le imposte, e fare i corretti conguagli mensili in busta paga. In questo modo, il lavoratore potrà evitare di dover presentare la dichiarazione dei redditi all’Agenzia (se non ha altre entrate), scongiurando anche il pagamento di tasse non dovute o spiacevoli sorprese durante i conteggi finali.

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Come funziona la CU provvisoria e quali sono i vantaggi

La certificazione unica provvisoria può essere consegnata spontaneamente dal precedente datore di lavoro, oppure richiesta dall’ex dipendente in maniera esplicita. In quest’ultimo caso, basta inoltrare la richiesta al precedente datore (che ha 12 giorni per consegnarla) e portare il documento al nuovo datore di lavoro.

Uno dei vantaggi principali di questa pratica è il conguaglio Irpef: le tasse verranno infatti suddivise in modo equo mese per mese, evitando maxi-conguagli in fase di dichiarazione e offrendo liquidità continua al lavoratore.

Cosa succede se hai due lavori in contemporanea

Attenzione, però: chi lavora per due datori nello stesso periodo avrà comunque due certificazioni diverse e dovrà dichiarare entrambe le fonti di reddito. In questo caso, ogni datore applicherà in qualità di sostituto d’imposta l’aliquota minima, e l’Irpef da pagare in dichiarazione potrebbe risultare più alta (perché i redditi si sommano e fanno scattare aliquote superiori).


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Proviamo a fare un esempio. Se un lavoratore guadagna 15.000 euro in un’azienda e altri 16.000 in un secondo lavoro part-time nello stesso anno, ogni datore applica l’aliquota Irpef base, versando rispettivamente 3.450 euro e 3.680 euro (7.130 euro totali). Tuttavia, a fine anno i redditi si sommeranno, arrivando a un totale di 31.000 euro. Quindi sui primi 28.000 euro si applicherà il 23% di aliquota (6.440 euro), e sui successivi 3.000 il 35% (1.050 euro), per un totale di 7.490 euro. Il lavoratore dovrà perciò pagare in dichiarazione dei redditi la differenza tra la tassazione effettivamente dovuta (7.490 euro) e quella già pagata dai sostituti d’imposta (7.130 euro), quindi nel nostro caso 360 euro.