Che fine faranno i sussidi se scoppia la guerra? Preparatevi a morire di fame!

Redazione

20 Settembre 2025

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In tempi incerti, mentre i media rispolverano lo spettro di una guerra mondiale a due passi da casa, e l’eco di manovre militari risuona dalle prime pagine, una domanda scomoda aleggia tra chi fatica a sbarcare il lunario: che fine faranno i sussidi e i bonus sociali se l’Italia venisse davvero travolta da un conflitto? La verità, per quanto sgradevole, andrebbe detta chiara e tonda: vi state illudendo che la fragile rete di sussidi come ADI (Assegno di Inclusione), AUU (Assegno Unico Universale), SFL (Supporto Formazione e Lavoro) e simili possa salvarvi di fronte al crollo totale della normalità. Perché nessuna tessera elettronica comprerà pane in un paese in stato di emergenza. Ecco i dettagli.

Che cosa succederà ai sussidi se scoppia la guerra

Il primo dato da tenere presente è che i nostri sussidi sono figli di una stagione di pace, figli di una macchina pubblica che funziona – se funziona – grazie a una cascata di tasse, di tributi e di entrate assicurate da un’economia quantomeno stabile. Se domani ci trovassimo in uno stato di guerra, con città sotto minaccia, aziende ferme, eserciti in moto e i mercati internazionali nel caos, l’intera impalcatura dei bonus mensili crollerebbe come un castello di carte.

Le procedure che oggi danno tanto lavoro a CAF e patronati – ISEE, domande online, scadenze, pratiche e controlli – diventerebbero improvvisamente carta straccia. Cosa succede ai pagamenti elettronici se mancano energia, banche e logistica? Cosa valgono l’ADI, l’AUU per i figli, o SFL se i soldi non hanno più alcun corrispettivo reale nei supermercati vuoti o nei bancomat fuori uso? E soprattutto: quale Governo, nell’incubo di una mobilitazione generale, darà priorità davvero al pagamento dei sussidi ai cittadini invece di dirottare ogni centesimo su spese militari e logistica di emergenza?

L’illusione di una narrazione fragile

Sono anni che in Italia ci si culla sulla narrazione che “nessuno deve restare indietro”, illudendosi che basti presentare una domanda online per avere la sopravvivenza assicurata. Ma basta leggere la storia – o guardarsi attorno nei paesi colpiti da veri conflitti – per capire che i primi a saltare sono i servizi non essenziali, le pratiche sociali e, tristemente, anche l’assistenza sistemica ai più fragili. Durante una guerra, la priorità diventa difendersi e garantire l’ordine pubblico, non versare bonus su una carta prepagata.

Se venisse dichiarata la mobilitazione, i cittadini rischierebbero di trovarsi non solo senza posto fisso, ma anche senza tutele. Niente ADI, addio AUU, nessuna SFL. Quindi l’assunzione diffusa che “lo Stato pagherà sempre” è la più pericolosa delle illusioni: il rischio reale, e mai discusso dai politici, è di vedere sparire in un istante quel poco garantito che oggi ancora arriva. E che a quel punto restino solo file alle mense della Caritas, e il baratto di pane per benzina come nei tempi più bui.

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Bonus, abbagli e la responsabilità di guardare in faccia la realtà

Serve allora un dibattito onesto: prepararsi a un terribile futuro significa anche dire la verità a chi, ogni mese, vive in attesa della ricarica. Se domani cambiassero le regole – per guerra, crisi energetica o altro – saranno i meno protetti a pagare per primi. Forse è il caso che l’Italia lo consideri ora, non domani, e che chi beneficia di queste misure inizi a chiedersi cosa significhi davvero resilienza, e su cosa possa contare in caso di collasso del sistema. Perché nella retorica istituzionale “nessuno verrà lasciato solo”, ma nella storia le emergenze hanno sempre lasciato indietro i più deboli.


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Il pane reale non si stampa, i bonus svaniscono quando le sirene iniziano a suonare. E chi non lo capisce oggi, domani rischia di svegliarsi davvero con una brutta sorpresa.