La notizia che ci arriva da un paese in provincia di Latina non può che lasciare increduli: siamo nel 2024 e si parla ancora di classi ghettizzate. L’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio è intervenuto per cercare di ristabilire un equilibrio tra studenti italiani e stranieri dopo che alcune famiglie hanno deciso di ritirare i propri figli da una scuola nella provincia di Latina, temendo che la presenza di troppi alunni stranieri potesse compromettere il livello di apprendimento. La situazione è stata così grave che si sono create classi segregate, con studenti suddivisi per etnia: una composta da bambini indiani e bengalesi, un’altra da albanesi e pakistani, e infine una da soli italiani. Un’immagine desolante e retrograda per l’Italia contemporanea, che dovrebbe essere una nazione inclusiva e multiculturale.
Come è possibile parlare ancora di ghettizzazione nelle scuole?
Questa vicenda solleva interrogativi inquietanti su come la paura dell’altro continui ad essere una spinta dominante tra alcune famiglie italiane. Il timore che la presenza di studenti stranieri rallenti il programma scolastico è una giustificazione che non regge di fronte alla realtà: l’integrazione è non solo possibile, ma fondamentale per arricchire il tessuto sociale e culturale delle nostre comunità. Invece di lavorare per garantire pari opportunità e abbattere le barriere linguistiche e culturali, queste famiglie preferiscono isolare i propri figli, privandoli di un’esperienza educativa completa.
Le classi ghettizzate sono un fallimento per tutti
La situazione descritta evidenzia un fallimento su più livelli:
- le famiglie, che scelgono di seguire paure infondate e pregiudizi;
- le istituzioni scolastiche, che devono essere pronte a gestire la multiculturalità senza che si creino divisioni.
Una classe “mista” è un’opportunità, non un problema, come suggeriscono studi sull’apprendimento multiculturale, che dimostrano che i bambini cresciuti in contesti eterogenei sviluppano maggiore empatia, capacità di risolvere conflitti e pensiero critico.
La preside dell’istituto ha espresso tutta la sua amarezza per quanto accaduto. E come darle torto? Vedere il proprio lavoro, basato su valori di integrazione e rispetto, demolito dalla fuga di genitori impauriti dal diverso, è un colpo duro. Come società, non possiamo accettare classi ghettizzate, formate in base alla nazionalità o all’etnia, come ha giustamente affermato anche Ivana Barbacci della Cisl Scuola. Questo tipo di divisioni non solo sono eticamente sbagliate, ma vanno contro i principi stessi della scuola pubblica, che dovrebbe essere un luogo di crescita per tutti, senza discriminazioni.
Perché è sbagliato pensare che gli alunni stranieri rallentino la classe?
Il principale argomento portato dalle famiglie è che la presenza di alunni che non parlano italiano possa rallentare il programma scolastico. Questa affermazione è priva di fondamento, e riflette piuttosto un pregiudizio che ignora i benefici di un ambiente scolastico inclusivo. Gli studenti stranieri non sono un ostacolo, ma un arricchimento. La scuola ha il dovere di fornire strumenti adeguati, come corsi di lingua e supporto didattico, per aiutare gli studenti con bisogni educativi speciali, senza penalizzare nessuno. Anzi, in molti casi, la presenza di bambini di diverse nazionalità può stimolare una maggiore collaborazione e spirito di gruppo, valori essenziali per una società moderna.
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Basta con le classi ghettizzate, promuoviamo l’integrazione
Nel 2024 non possiamo più tollerare episodi del genere. Il sistema scolastico italiano deve essere un faro di integrazione, non uno strumento per segregare. I genitori che ritirano i propri figli per timore del diverso non stanno proteggendo il loro futuro: lo stanno limitando. La vera forza di una nazione risiede nella sua capacità di accogliere e integrare, e la scuola è il primo luogo dove questo processo deve avvenire.
Se continuiamo a permettere che episodi di ghettizzazione si ripetano, stiamo fallendo come società. È ora di cambiare prospettiva: gli studenti stranieri non sono un problema da evitare, ma un’opportunità per crescere insieme, imparando l’uno dall’altro in un ambiente che riflette davvero la pluralità del mondo in cui viviamo.