È legale cucinare a domicilio per conto terzi? La normativa e tutti i passi da seguire

Redazione

3 Agosto 2025

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Ma è davvero legale cucinare a domicilio per altri? Preparare pietanze a domicilio non è solo una tendenza: in Italia è una vera e propria opportunità di lavoro che affascina chi vuole mettere a frutto la propria passione per la cucina, senza però aprire un ristorante tradizionale. Ma una domanda sorge spontanea: è legale cucinare per conto terzi a domicilio? Facciamo chiarezza, perché – tra sogni gourmet e regole da rispettare – il confine tra lecito e illecito è sottile e importante. Ecco qui sotto i dettagli.

Cucina a domicilio: una realtà in crescita

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Negli ultimi anni il fenomeno dello chef a domicilio (o “home restaurant”) ha preso sempre più piede: cuochi professionisti o semplici appassionati si offrono di preparare pranzi, cene o banchetti direttamente nella casa del cliente, o in altri spazi privati, portando il ristorante nell’intimità dell’abitazione. Questa modalità può essere sia occasionale che professionale, ma in tutti i casi è necessario conoscere il quadro normativo vigente.

Il vuoto legislativo e le risposte della legge

In Italia, la materia non è ancora regolamentata da una legge nazionale unica e chiara. Tuttavia, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, attraverso risoluzioni ufficiali, equipara l’attività dello chef a domicilio alle tradizionali attività di somministrazione di alimenti e bevande, con obblighi di legge ben precisi.

Se si offre un servizio professionale e continuativo  (con promozione del servizio e ricevimento di compensi), l’attività non può essere vista solo come “favore tra amici”, e quindi deve rispettare precisi requisiti.

Quali sono i requisiti?

Per cucinare per conto terzi a domicilio, in regola con la legge, servono:

  • Partita IVA con codice Ateco appropriato (ad esempio 56.21.00 per catering e banqueting)
  • Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) da comunicare al Comune di residenza
  • Iscrizione al Registro delle Imprese e comunicazione all’Agenzia delle Entrate, INPS e INAIL (solitamente tramite un commercialista)
  • Attestato HACCP obbligatorio, per la manipolazione sicura e igienica degli alimenti
  • Requisiti morali e professionali previsti per la somministrazione di alimenti e bevande
  • Polizza assicurativa di responsabilità civile verso terzi (non obbligatoria ma fortemente consigliata)
  • Rispetto delle normative igienico-sanitarie del Regolamento CE 852/2004.

Qualora invece l’attività avvenga sporadicamente, e tra persone legate da vincoli di amicizia o parentela, senza promozione pubblicitaria o continuità, si può considerare come prestazione occasionale non soggetta alle stesse procedure amministrative.


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Home food e microimprese domestiche

Il cosiddetto “home food” (cucinare per altri nella propria abitazione e vendere i pasti) è una forma simile alla ristorazione a domicilio. Anche in questo caso, quindi, occorre notificare l’attività all’ASL e rispettare tutte le norme igienico-sanitarie, dotandosi di Manuale HACCP e seguendo regole specifiche, come la tracciabilità e la sicurezza alimentare.

E se cucino a casa del cliente?

Quando lo chef si reca presso l’abitazione del cliente e usa alimenti e strumenti già presenti in loco, si configura formalmente come prestazione da lavoratore autonomo secondo l’art. 2222 del Codice Civile. Anche in questo caso, comunque, è indispensabile la formazione HACCP, e in caso di attività organizzata in forma di impresa servono tutti i titoli e le autorizzazioni già citati.

In sintesi, cucinare per conto terzi a domicilio è legale, ma solo rispettando tutti gli adempimenti burocratici, fiscali, igienico-sanitari e assicurativi previsti dalla normativa vigente. Un percorso fatto di passione ma anche di regole, necessario per trasformare una vocazione “casalinga” in un business sicuro, credibile e – soprattutto – legale. Prima di infilare il grembiule per cucinare per altri, quindi, meglio informarsi e… partire con il piede giusto!