Chiamarlo “Assegno di Inclusione” oggi suona come una provocazione per moltissimi cittadini. La misura introdotta nel gennaio 2024, in sostituzione del Reddito di Cittadinanza, si è rivelata nei fatti un vero e proprio “assegno di esclusione”. Il suo stesso nome sembra ormai tradire la realtà fotografata dal Rapporto Caritas sulla povertà 2025: un sussidio che divide, restringe la platea dei beneficiari e lascia tanti italiani in condizioni di bisogno senza alcun aiuto. Vediamo i dettagli.
Assegno di Inclusione, quando i numeri smentiscono le intenzioni
I dati non mentono. Dopo l’introduzione dell’Assegno di Inclusione, che avrebbe dovuto rafforzare la lotta alla povertà, il fenomeno è tornato a crescere inesorabilmente. Secondo il recente Rapporto Caritas, la percentuale di persone in condizione di povertà è passata dal 7,5% (raggiunto con il Reddito di Cittadinanza) all’8,3%.
A questo balzo si aggiunge poi un fatto preoccupante: il 40% di chi prima riceveva sostegno oggi si trova escluso dalla nuova misura. Gli esclusi sono soprattutto single, famiglie senza figli minori, lavoratori poveri e cittadini stranieri, con un impatto grave anche nelle Regioni più produttive del Centro-Nord.
Falsi negativi e contributi che spariscono
Il paradosso della riforma ADI è reso ancora più evidente dai cosiddetti “falsi negativi”. Cioè italiani che, pur avendo reale bisogno economico, restano fuori dal sistema di aiuti a causa di criteri sempre più stringenti. Così, mentre la spesa pubblica cresce e aumentano i fondi a disposizione, diminuiscono le persone che riescono effettivamente a ricevere un sostegno. E si assiste al dramma di una misura che, invece di includere, discrimina e allarga il divario sociale.
Nord penalizzato e stranieri dimenticati: una geografia inedita della povertà
Il Rapporto rivela anche una profonda disparità territoriale: il 70% dei nuclei beneficiari dell’ADI risiede al Sud, mentre al Nord solo il 15% delle famiglie in povertà assoluta ha ottenuto il sussidio, nonostante lì si concentri oltre il 40% della povertà italiana. Il quadro diventa ancora più drammatico per le famiglie straniere, che vedono ridursi del 40% i beneficiari rispetto al passato.
La fine del sostegno universale: chi viene tagliato fuori dagli aiuti
Fra i grandi errori della riforma c’è il venir meno dell’universalità. L’ADI si rivolge solo a famiglie con minori, persone disabili, anziani over 67. Restano invece senza tutela molte famiglie in età lavorativa, cittadini soli o senza figli, nonché la maggioranza dei lavoratori poveri e degli stranieri. In assenza di un “reddito minimo universale” — che invece esiste in tutti gli altri Paesi europei — l’Italia torna a essere un luogo dove il diritto all’aiuto non è garantito a tutti, ma solo a chi rientra nei criteri di una misura sempre più categoriale e selettiva.
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Le conseguenze dirette sulle richieste di aiuto e sull’impegno sociale
Questa riduzione della platea ha avuto effetti drammatici e tangibili. Sempre più persone si rivolgono direttamente alle reti di sostegno come la Caritas, per chiedere aiuto su beni di prima necessità, affitto e utenze. Le associazioni sono così costrette a colmare il vuoto lasciato dalle istituzioni pubbliche, tornando a svolgere il loro antico ruolo di “paracadute sociale” (mentre scatta l’allarme sulla tenuta del sistema nazionale contro la povertà).
E le criticità non riguardano solo ADI. Anche il Supporto per la Formazione e il Lavoro (SFL), pensato per gli occupabili, mostra limiti evidenti: scarsa partecipazione, percorsi poco efficaci e ridotte opportunità di inclusione stabile. Serve quindi una riforma profonda, capace di superare la logica dei tagli orizzontali e recuperare il principio per cui nessuno debba essere lasciato indietro. Solo così la lotta alla povertà potrà davvero passare da statistica a obiettivo (concreto e condiviso) di tutta la comunità.