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Migrazione sanitaria: così muore la sanità al Sud

La migrazione sanitaria costa oltre 5 miliardi di euro ai cittadini del Sud. Un saldo desolante, che evidenzia l'enormità della frattura economica italiana.

di Tommaso Pietrangelo
17 Febbraio 2025
in Attualità
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Sempre più italiani costretti a spostarsi, dal Sud al Nord, per ricevere cure adeguate. È questo il quadro allarmante che emerge dagli ultimi numeri sulla sanità forniti dalla Fondazione Gimbe. In particolare, nel 2022 la migrazione sanitaria è costata oltre 5 miliardi di euro ai cittadini. Non una scelta, ma una necessità dettata dalla situazione sempre più critica delle strutture nel Mezzogiorno. E in questo modo la frattura economica tra Sud e Nord non fa che allargarsi: sempre più soldi nelle casse delle regioni ricche; sempre meno fondi per le regioni in difficoltà. Vediamo i dettagli qui sotto.

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  • Migrazione sanitaria, un ‘buco’ da 5 miliardi
  • I dati allarmanti sulle regioni
  • Il divario Nord-Sud si allarga

Migrazione sanitaria, un ‘buco’ da 5 miliardi

Leggi anche  Tra reddito e speranza di vita, la voragine Nord-Sud
Oltre 5 miliardi di euro dalle regioni del Sud a quelle del Nord. A tanto ammonta la spesa per la migrazione sanitaria, che impoverisce progressivamente le realtà del Mezzogiorno e vede le regioni settentrionali arricchirsi, in termini di risorse economiche e pazienti. A dirlo sono gli ultimi numeri forniti dalla Fondazione Gimbe, basati sui dati economici aggregati dell’ultimo Riparto FSN (Fabbisogno Sanitario Nazionale).

Si salvano solo pochissimi centri d’eccellenza, al Sud, che sono in grado ancora di attirare un numero sufficiente di pazienti. Per il resto, il flusso è diretto in maniera preponderante verso Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, che insieme alle altre regioni del nord formano il 94% della mobilità attiva. Mentre da Abruzzo, Calabria, Campania, Sicilia, Lazio e Puglia esce quasi l’80% delle risorse. I 5 miliardi di euro a cui si riferisce la Fondazione Gimbe (per la precisione 5,04 miliardi) sono relativi all’anno 2022, e rappresentano un aumento del 18,6% rispetto ai 4,25 miliardi del 2021.

“Questi numeri mostrano che la mobilità sanitaria non è più una libera scelta del cittadino”, ha commentato a tale proposito il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta. Che poi ha aggiunto: “Sempre più persone sono costrette a spostarsi per ricevere cure adeguate, con costi economici, psicologici e sociali insostenibili”.

I dati allarmanti sulle regioni

Se andiamo ad analizzare i dati in dettaglio, notiamo che le regioni con più mobilità passiva, cioè quelle che ‘perdono’ più pazienti, sono Lazio (11,8%), Campania (9,6%) e Abruzzo (8,9%), seguite poi da Puglia, Calabria e Sicilia. Al contrario, la mobilità attiva è tutta a favore di Lombardia (22,8%), Emilia-Romagna (17,1%) e Veneto (10,7%), seguite dal Lazio (8,6%), dal Piemonte (6,1%) e dalla Toscana (6,0%).

A contare è anche il saldo entrate-uscite. Domina sempre la Lombardia, che vanta un saldo positivo pari a 623,6 milioni di euro, poi l’Emilia-Romagna (525,4 milioni) e ancora il Veneto (198,2 milioni). La situazione è invece desolante al Sud, dove la regione con il più alto saldo negativo è l’Abruzzo, con 104,1 milioni di euro lasciati per strada, seguita da Lazio (-193,4 milioni), Puglia (-230,2 milioni), Sicilia (-241,8 milioni), Calabria (-304,8 milioni) e Campania (-308,4 milioni). Insomma, un salasso di risorse e pazienti che lascia una parte del Paese alle dipendenze della porzione più ricca. E come sempre, i ricchi continuano ad arricchirsi a spese dei più poveri.


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Il divario Nord-Sud si allarga

Il divario Nord-Sud è quindi un divario sanitario, oltre che economico. Un fenomeno che stando al presidente della Fondazione Gimbe costituisce “una frattura strutturale del Servizio sanitario nazionale…dalle enormi implicazioni sanitarie, sociali, etiche ed economiche che evidenzia profonde disparità nel diritto alla tutela della salute”. E non è tutto.

L’analisi della Fondazione evidenzia anche una stretta correlazione tra gli adempimenti Lea – i Livelli essenziali di assistenza, cioè le prestazioni che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini – e i saldi di mobilità sanitaria. In poche parole, le prime cinque regioni per punteggio Lea rientrano anche tra le prime per saldo di mobilità. Tradotto: le regioni più efficienti dal punto di vista sanitario, cosa ovvia ma non scontata, sono le stesse verso cui i pazienti del Sud si muovono in massa.

Possiamo solo concludere con valutazioni amare. La fotografia del nostro Paese è desolante: abbiamo due ‘velocità’ e due economie radicalmente opposte. L’Italia crolla al Sud, e le macerie finiscono al Nord per costruire meglio quello che dall’altra parte della barricata è un’utopia. E in tutto questo, il Governo di destra (o almeno una parte di esso) insiste nel portare avanti progetti balordi come quello dell’autonomia differenziata. Che se andrà in porto, anche nella migliore delle versioni possibili, darà il colpo di grazia al sistema sanitario del Mezzogiorno. A noi non resta che protestare e impedire con forza che questo accada.

Tags: sanitàsistema sanitariosud
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