Dal Nord al Sud Italia, il dibattito è acceso: il Ponte sullo Stretto di Messina è davvero la priorità per il Mezzogiorno oppure rappresenta solo la più imponente delle ‘cattedrali nel deserto’, destinata a divorare risorse che farebbero la differenza altrove? La domanda non è solo provocatoria: è il centro di una polemica che si riaccende ogni volta che si parla di investimenti pubblici, sviluppo e rispetto delle reali esigenze dei cittadini. Ecco i dettagli.
Ponte sullo Stretto, i numeri ‘teorici’ e la realtà del Sud
I numeri parlano chiaro. Sulla carta, il Ponte dovrebbe abbattere distanze, rilanciare economie locali e rendere il Sud finalmente “connesso” al resto d’Europa. Peccato che, guardando la realtà, il quadro sia ben diverso. In Sicilia e Calabria milioni di abitanti convivono con treni fatiscenti, strade che crollano, ospedali sottodimensionati, scuole che cadono a pezzi, collegamenti digitali da terzo mondo. Il ponte sarà pure un volano architettonico, ma nella vita di tutti i giorni i problemi sono altri: l’acqua razionata, le corse per una visita specialistica che si ottiene a 200 chilometri da casa, le famiglie costrette a emigrare perché “qui manca tutto”.
E allora viene spontaneo chiedersi: il Sud ha davvero bisogno del Ponte o piuttosto di servizi essenziali finalmente funzionanti? Molti esperti, opposizioni e comitati parlano di spreco colossale: “un’opera faraonica che non risolve i problemi quotidiani”. Mentre il Governo è impegnato a rimodulare fondi, gestire espropri e vincere battaglie burocratiche, i cittadini chiedono rete idrica efficiente, trasporti affidabili, ospedali e scuole dignitose.
Cosa si potrebbe fare con il budget del ponte
Il budget stanziato – si parla di cifre che superano i 14 miliardi di euro – potrebbe riscrivere il futuro delle aree più fragili d’Italia se fosse impiegato in modo più strategico. Con una tale somma si potrebbero rinnovare intere reti ferroviarie, mettere in sicurezza le strade interne, dotare i comuni rurali di servizi sanitari decenti e dare una scossa concreta all’occupazione giovanile. E invece? Si rischia di vedere svanire tutto l’investimento in una struttura mastodontica ma inutile ai fini della reale inclusione sociale.Ci sono servizi che nel 2025 dovrebbero essere la base minima: acqua potabile garantita, trasporti pubblici puntuali, politiche sociali effettive per chi vive situazioni di disagio. Ma queste voci restano sulla carta, schiacciate sotto il peso dell’ennesimo progetto che fa notizia più per dimensioni e polemiche che per l’impatto reale sul benessere degli abitanti del Sud.
Un fallimento tutto italiano (ma ai danni del Sud)
Non è demagogia, ma semplice buon senso. Il Ponte sullo Stretto rischia di mettere la firma definitiva sul fallimento della pianificazione territoriale italiana. Il Sud non chiede miracoli ingegneristici, chiede semplicemente che si investa su ciò che serve: scuole, ospedali, trasporto pubblico, sussidi efficaci e un welfare che non lasci indietro nessuno. Tutto il resto appare, oggi più che mai, come l’ennesimo abbaglio.
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Se davvero si vuole parlare di ‘futuro per il Sud’, occorre compiere una scelta di civiltà: investire sulle persone, sui servizi, sulla qualità della vita. Prima di inseguire il miraggio di ponti che non colmeranno mai le vere distanze sociali.