Inauguriamo la nostra nuova rubrica Storie ADI per dare voce alle vostre esperienze con L’Assegno di Inclusione (ADI).
Il sussidio, nato con l’obiettivo di sostenere economicamente le famiglie in difficoltà, mostra anch’esso alcune lacune e non tutto è così semplice come sembra per i percettori.
Molti beneficiari lamentano problemi di vario tipo, tra cui un trattamento discriminatorio nei negozi e difficoltà burocratiche legate alla ricerca di un impiego.
Storie ADI: “Mi guardano male quando pago con la carta di inclusione”
Oltre ai problemi burocratici non indifferenti, uno dei problemi più sentiti dai percettori dell’Assegno di Inclusione è lo stigma sociale che li accompagna, specialmente nei supermercati e nei negozi. Marco, (nome di fantasia ndr) un quarantenne di Napoli che da qualche mese riceve il sussidio, racconta: “Ogni volta che pago con l’ADI, le cassiere mi guardano male, come se stessi rubando qualcosa. Ho persino sentito battutine da parte di altri clienti, che mi fanno sentire umiliato. Non è colpa mia se mi trovo in questa situazione, eppure vengo trattato come un parassita.”
Il problema sta in una società che dipinge secondo stereotipi i percettori come dei fannulloni che vogliono solo un guadagno facile.
In realtà non è così: dietro i percettori ci sono storie e famiglie che si sono ritrovate, a causa delle variabilità delle circostanze, ad affrontare problematiche che li hanno in un certo senso obbligati a fare ricorso ai sussidi statali, ma se avessero avuto scelta, avrebbero optato per soluzioni certamente differenti.
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I problemi con le agenzie di collocamento
Un altro problema riguarda i centri per l’impiego e le agenzie di collocamento, che dovrebbero aiutare i percettori dell’ADI a trovare un’occupazione. Tuttavia, la realtà è spesso ben diversa. Marco racconta la sua esperienza:
“Mi hanno fatto firmare un Patto di Attivazione Digitale e poi mi hanno detto che dovevo aspettare la chiamata di un’agenzia. Dopo settimane di silenzio, ho provato a contattarli io, ma le offerte erano ridicole: entrambi i lavori a km da casa”.
Molti beneficiari, inoltre, si lamentano della scarsa qualità delle offerte di lavoro, spesso incompatibili con le loro competenze o esigenze personali.
E dato che le agenzie hanno l’obbligo di segnalare chi rifiuta un lavoro ritenuto “congruo”, il rischio di perdere il sussidio è sempre molto alto.
Senza contare che i corsi di formazione, che dovrebbero preparare i beneficiari al mercato del lavoro, sono spesso inutili, e dunque l’inefficienza di questi percorsi formativi rende ancora più frustrante il percorso per chi cerca di uscire dalla situazione di difficoltà.
La speranza di un futuro migliore
Marco e tanti altri vorrebbero solo una possibilità concreta di rimettersi in gioco, senza dover subire umiliazioni o perdere tempo in corsi inutili. Finché non si affronteranno questi problemi, l’ADI rischia di essere solo un palliativo, più che un vero strumento di inclusione sociale e lavorativa.
E voi, cosa avete da dirci sulle vostre esperienze? Scriveteci a: storie@bonusepagamenti.it