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Home Sussidi Pensioni

Studio INPS pensioni: dovrebbero essere più basse per chi vive di più?

Il Movimento 5 stelle chiede una riforma delle pensioni fondata su un coefficiente che porterebbe all'equità: ma dal Governo rispondono che non è fattibile

Francesca Ereddia di Francesca Ereddia
2 mesi fa
in Pensioni
Tempo di lettura: 3 minuti
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studio inps pensioni
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Studio INPS pensioni: più basse per chi vive di più? Questo il meccanismo al momento in analisi sulla base dei dati INPS, e fondato su uno studio del Movimento 5 stelle.


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Ultimamente, il governo è impegnato in un’ampia riforma previdenziale, che sta coinvolgendo anche il sistema pensionistico nella sua interezza, a partire dagli anni di contributi.

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Ora, la proposta del movimento pentastellato coinvolge anche la possibile riduzione delle pensioni per coloro che vivono più a lungo.

Sommario

  • Studio INPS pensioni: riforme in vista?
  • Pensioni più basse a chi vive di più?
  • Ma quindi, questo nuovo parametro come funzionerebbe?

Studio INPS pensioni: riforme in vista?

Collegare requisiti per ottenere la pensione, come l’età e i contributi versati, al tipo di lavoro svolto e alla zona di residenza: questo il risultato dello studio Inps per riformare il sistema previdenziale. L’intento è creare una serie di condizioni di uscita differenziate sulla base della tipologia di occupazione.

Leggi anche  Pagamenti pensioni luglio 2023: il calendario e gli aumenti

Di recente, un’indagine dell’Istituto sponsorizzata dai membri del Movimento 5 Stelle ha presentato questa “proposta”, che è stata dibattuta nel settore delle pensioni. Tuttavia, secondo fonti governative, si tratta ancora di uno studio e non di un’idea pratica da attuare immediatamente, poiché richiederebbe molto tempo per essere messa in atto e non può essere realizzata in soli due mesi di legislatura.

Pensioni più basse a chi vive di più?

Lo studio in esame si basa sull’analisi dei dati relativi ai pagamenti delle pensioni e alla loro durata, dati forniti dall’INPS.  Si è scoperto che i dirigenti tendono ad avere una vita più longeva rispetto agli operai, e che determinati pensionati in certe aree d’Italia vivono di più rispetto ad altri. Questo rappresenta una correlazione tra longevità e tipo di lavoro svolto, e anche tra longevità ed area in cui si vive.

Tuttavia, l’aspettativa di vita non può essere influenzata solo da queste due variabili, essendoci di mezzo anche altri fattori, come ad esempio la genetica, l’anamnesi familiare e tutta una serie di altri fattori non sempre prevedibili.

Leggi anche  La ricongiunzione contributi e pensione, di cosa si tratta?

Attualmente, è il parametro dell’aspettativa di vita a essere considerato globalmente come un criterio per aumentare l’età pensionabile e i requisiti di contribuzione richiesti. Questo metodo è ritenuto il più affidabile, ed è stato introdotto dalla riforma pensionistica del 2009 di Maurizio Sacconi e Giulio Tremonti.

Ma quindi, questo nuovo parametro come funzionerebbe?

Il fatto è che le persone meno abbienti, in genere hanno una vita inferiore alla media. Questo significa che va usato un coefficiente di conversione differenziato rispetto ai ricchi. Altrimenti, dicono dal M5S, i ricchi ne escono avvantaggiati, dato che riescono ad “accaparrarsi” più anni di pensione rispetto ai meno abbienti.

Il coefficiente di conversione è il valore che contribuisce al calcolo della pensione basato sul metodo contributivo, ed è uguale per tutti, visto che non tiene conto di fattori come il tipo di lavoro svolto, più o meno faticoso, e la regione in cui si vive, con le relative differenze nell’efficienza sanitaria.

Inoltre, il coefficiente opera anche sulla base dell’età del lavoratore: maggiore è l’età del lavoratore, maggiore sarà anche il fattore di conversione.

Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, che ha esaminato i dati dell’INPS:

  • Un anziano che riceve una pensione attraverso il fondo per i lavoratori dipendenti, che include anche operai e impiegati, percepisce in media per circa 17,6 anni per l’assegno pensionistico.
  • Un ex manager, invece, riceverà una pensione per una durata media di 19,7 anni.

L’ex manager quindi percepisce più anni di pensione, uscendone “avvantaggiato”. Oltre al tipo di lavoro, esistono delle distinzioni tra le regioni del Nord, del Centro e del Sud.

Differenziazioni, poi, anche in base al sesso:

  • le donne che vivono in Trentino Alto Adige possono arrivare a percepire anche 22,5 anni di assegni pensionistici, specialmente nelle fasce elevate
  • Nelle regioni delle Marche e dell’Umbria, l’età media per gli uomini raggiunge i 19,4 anni.

In sostanza, secondo il Corriere, vi è una disparità pensionistica che coinvolge tutta una serie di fattori: sesso, luogo di residenza, lavoro che si è svolto, posizione economica. Tale disparità, per il Movimento 5 stelle, andrebbe “riequilibrata” tramite una riforma delle pensioni radicale, che potrebbe quindi prevedere un abbassamento delle pensioni per coloro che sono destinati a vivere più a lungo.

 

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