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Lavorare dopo la pensione, impatto sul reddito e regolamentazione

Dopo la pensione è possibile lavorare, ma con eccezioni. Il sistema previdenziale richiede una valutazione attenta sulla regolamentazione e tassazione.

di Paola Costanzo
5 Maggio 2024
in Lavoro, Pensioni
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È possibile lavorare dopo la pensione? È una domanda che molti si pongono mentre navigano il complesso sistema previdenziale. Raggiungere i requisiti necessari per la pensione non implica l’obbligo di ritirarsi completamente dal mondo del lavoro: un pensionato non è obbligato a rinunciare a rioccuparsi se lo desidera, ma ci sono con alcune eccezioni e dettagli tassativi da considerare.

Sommario

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  • Perché lavorare dopo la pensione?
  • Chi percepisce la pensione può lavorare?
    • Le eccezioni
  • Quanto paga di tasse un pensionato che continua a lavorare?
  • Quanti sono i pensionati che lavorano?

Perché lavorare dopo la pensione?

Molte persone decidono di rimettersi a lavorare dopo la pensione per diverse ragioni che variano a seconda dello stile di vita o delle necessità economiche. Infatti, per alcuni la scelta di continuare a lavorare è attribuita ad una questione di abitudine, per altri invece le ragioni economiche giocano un ruolo abbastanza significativo: molti ritornano a lavorare dopo la pensione per integrare il reddito pensionistico, garantendo così una maggiore sicurezza finanziaria e la possibilità di affrontare spese.

Chi percepisce la pensione può lavorare?

Dal 1° gennaio 2009, grazie al Decreto Legge 112/2008, è stato annullato il divieto di cumulo tra redditi da pensione e da lavoro. Questo permette ai pensionati di svolgere un’attività lavorativa mentre percepiscono la pensione.

Appena si accede alla pensione di vecchiaia, infatti, è possibile iniziare una qualsiasi altra attività lavorativa. Nonostante ciò, è importante considerare che i redditi aggiuntivi faranno cumulo nella dichiarazione dei redditi, formando una base imponibile unica su cui verranno calcolate le tasse.

Il cumulo di redditi da lavoro e da pensione è consentito a tutti coloro che vanno in pensione con il sistema retributivo o misto, ovvero tutti coloro che hanno iniziato a versare contributi prima del 31 dicembre 1995.

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Per i pensionati contributivi puri, cioè coloro che sono stati iscritti per la prima volta alla previdenza obbligatoria dal 1° gennaio 1996, è possibile cumulare redditi da lavoro e da pensione se soddisfano almeno uno dei seguenti requisiti:


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  • 60 anni di età per le donne e 65 per gli uomini;
  • 40 anni di contribuzione;
  • 35 anni di contribuzione e 61 anni di età anagrafica.

Le eccezioni

Ci sono, tuttavia, alcune pensioni che non possono essere cumulate con i redditi da lavoro, come nel caso dei pubblici dipendenti riammessi in servizio presso le pubbliche amministrazioni. Inoltre, bisogna anche tener presente che coloro che percepiscono pensione ai superstiti o assegni di invalidità sono soggetti al divieto di cumulo con altri redditi.

Vi è anche un divieto di lavoro per tutti coloro che vanno in pensione in anticipo con Quota 100 o Quota 102 fino a quando non raggiungono i 67 anni. Vi è solo un’eccezione per chi è andato in pensione con Quota 100 che consiste nella possibilità di lavorare occasionalmente, ma la retribuzione non deve superare i 5.000 euro lordi all’anno.

Quanto paga di tasse un pensionato che continua a lavorare?

Per quanto riguarda la tassazione per un pensionato che continua a lavorare, ci sono un paio di considerazioni da fare. Anche se le retribuzioni per il lavoro svolto dopo la pensione possono essere erogate in forme diverse – come collaborazioni con ritenuta d’acconto, attività come professionista con partita IVA, etc. – è importante comprendere come queste entrate saranno tassate e conguagliate durante la dichiarazione dei redditi annuale.

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Le entrate aggiuntive si sommano al reddito da pensione e determinano il reddito complessivo soggetto alle aliquote IRPEF per la tassazione. Se il committente opera una ritenuta alla fonte, questa sarà considerata come una forma di tassazione anticipata e il pensionato dovrà pagare solo la differenza tra l’importo dovuto e quanto già versato. Nonostante l’eventuale ritenuta alla fonte, vi è comunque l’obbligo della dichiarazione dei redditi.

Anche se per determinare la tassazione è necessario conoscere il reddito complessivo del contribuente, è possibile fare una stima approssimativa considerando le aliquote IRPEF per il 2024, che sarebbero:

  • fino a 28.000 euro al 23%;
  • da 28.000 a 50.000 euro al 35%;
  • oltre i 50.000 euro al 43%.

In base a queste aliquote:

  • se il reddito da lavoro aggiuntivo sommato al reddito da pensione rimane al di sotto dei 28.000 euro, la tassazione sarà del 23% (dopo la sottrazione dell’eventuale ritenuta alla fonte);
  • se supera i 28.000 euro, ma rimane al di sotto dei 50.000 euro, la tassazione sarà del 35% (sempre dopo la sottrazione delle ritenute);
  • se il reddito complessivo supera i 50.000 euro, la tassazione sarà del 43% (anche in questo caso dopo aver sottratto le ritenute).

Quanti sono i pensionati che lavorano?

Il numero delle persone che mantengono un’occupazione regolare dopo la pensione, secondo gli ultimi dati ISTAT del 2021, ha raggiunto una quota di 444.000, registrando un aumento del 13,3% rispetto all’anno precedente. Di questi:

  • sei su dieci lavorano nel settore dei servizi (di cui un terzo nel commercio);
  • il 16% è impiegato nell’agricoltura.

Dal punto di vista dell’istruzione, oltre la metà dei pensionati impiegati ha al massimo la licenza media, mentre circa il 30% possiede un diploma e più di un quinto è laureato.

Un dato interessante è l’età media dei pensionati che continuano a lavorare, che è aumentata nel corso degli anni: nel 2021, il 78,6% di essi ha almeno 65 anni, in crescita rispetto al 41,8% del 2019.

Tags: lavorare dopo la pensione
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