Pensioni troppo basse, Governo all’angolo
Il Governo Meloni incassa un brutto colpo. Il taglio alle rivalutazioni delle pensioni, cavallo di battaglia dell’esecutivo per il biennio 2023-2024, finirà adesso davanti alla Corte Costituzionale. Lo ha deciso l’ordinanza numero 33 della Corte dei Conti della Toscana, dopo aver accolto il ricorso del dirigente scolastico senese Marco Panti, che era stato depositato il 18 ottobre 2023. Il sospetto, come anticipato, è che la norma voluta da Meloni presenti profili di illegittimità costituzionale, perché varata al di fuori di una situazione economica di emergenza, e inserita inoltre in una manovra “fortemente espansiva e fatta in deficit”.
Ora la palla passa alla Consulta, e non è una bella notizia per un Governo già impelagato nella definizione della prossima Legge di Bilancio. Infatti, se la Corte Costituzionale dovesse accertare l’incostituzionalità del taglio pensioni, sul Governo si abbatterebbe una tempesta da 37 miliardi di euro, che è il valore del taglio al netto delle tasse fino al 2032. In più la decisone della Corte dei Conti Toscana, indipendentemente dall’esito in Consulta, impone a Meloni e ministri uno stop immediato ai piani che erano già in cantiere. Proprio ora che si apprestavano a prorogare (e peggiorare) l’indicizzazione all’inflazione per il terzo anno consecutivo.
L’incostituzionalità del taglio
Le motivazioni della giudice contabile toscana, Khelena Nikifarava, parlano come detto di incostituzionalità. Ma come si è arrivati a questa valutazione? Va ricordato che già in passato la Consulta aveva stoppato la rivalutazione delle pensioni perché applicata a tutti i pensionati o per troppi anni. Ma questa volta il quadro storico è differente: il taglio attuato da Meloni è avvenuto “al di fuori di crisi finanziarie”, in più inserito in una manovra “fortemente espansiva e fatta in deficit” e in anni di “sospensione del Patto di stabilità Ue”. In sostanza, è una scelta non dettata dall’emergenza economica, ma da valutazioni di opportunità interne al Governo. Perchè le risorse tagliate alle pensioni sarebbero state utilizzate “per coprire i costi di nuovi interventi minori”.
E ancora. Il taglio alle rivalutazioni andrebbe esplicitamente contro gli articoli 36 e 38 della nostra Costituzione, perché la pensione è una retribuzione differita, non una prestazione assistenziale e neppure di “carattere fiscale”. Quindi, così come avviene per lo stipendio di un lavoratore, anche la pensione deve essere “proporzionata alla quantità e qualità” del lavoro svolto, e “adeguata non solo al momento del riposo, ma anche dopo durante la quiescenza, in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto”. In sostanza, le pensioni non possono in alcuno modo essere più basse dell’inflazione. Un punto che dev’essere sfuggito alla premier in carica Meloni.
Un attacco alla dignità e al merito
Altro punto fondamentale. Secondo la Corte dei Conti i tagli di Meloni “ledono la dignità” dei pensionati, anche perché non tengono conto dei principi costituzionali della “ragionevolezza” e della “temporaneità” della misura: sono tagli che vanno avanti impunemente da “20 anni”, utilizzando sistemi di calcolo “non proporzionali”, quindi ingiusti e non dignitosi. In più, c’è anche un discorso legato al merito.
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Siccome tutte le pensioni costituiscono un premio al merito del lavoratore, che si è impegnato a faticare e ha versato i contributi, penalizzarle da un certo importo in su vuol dire “disincentivare il lavoro regolare, favorire il nero”. E il messaggio che si manda ai giovani è che non vale la pena studiare, impegnarsi, ottenere lavori ben retribuiti, perché poi la pensione verrà tagliata senza riguardo. Pure se si tratta una pensione tutta contributiva, quindi un’istantanea fedele dei versamenti e degli anni di carriera. Per un Governo che si vanta di premiare il merito, non è certo il migliore degli spot elettorali.
Cosa chiedono i pensionati
Tutto sommato, quindi, la richiesta dei pensionati italiani è chiara: occorre recuperare il taglio alle pensioni e avere per intero l’indicizzazione sugli assegni, che al momento danneggia le pensioni in modo permanente. “Abbiamo lavorato una vita”, spiega a questo proposito l’ex dirigente protagonista del ricorso, Marco Panti, “noi pensionati non possiamo diventare il bancomat dello Stato”. Nelle prossime settimane, si attendono altri ricorsi alla Consulta circa l’incostituzionalità della norma voluta dal Governo. E il rischio è che l’esecutivo si trovi impantanato in un pasticcio che potrebbe scombinare i piani della maggioranza. Le pensioni sono un punto cruciale nella prossima Manovra 2025. L’ultimo desiderio di Meloni è ritrovarsi costretta a un clamoroso dietrofront.