Aumentano i lavoratori poveri in Italia e in tutta Europa. Nel continente, il 14,7% dei lavoratori guadagna meno di due terzi del salario medio, mentre da noi la percentuale si abbassa (leggermente) seppur falsata da problemi strutturali seri. Ad essere in difficoltà, purtroppo, sono soprattutto i lavoratori con contratto a tempo determinato. Che oltre a guadagnare di meno, vengono esposti maggiormente al rischio di instabilità economica e di povertà. Vediamo qui sotto tutti i dettagli.
Stipendi bassi, soffrono i lavoratori a tempo determinato
Gli ultimi dati pubblicati da Eurostat sono tutt’altro che rincuoranti. Nel 2022, il 14,7% dei lavoratori europei percepiva uno stipendio basso, cioè pari (o inferiore) ai due terzi del salario orario lordo mediano del proprio Paese. E anche se il dato è leggermente migliore rispetto al passato – nel 2018 la percentuale era del 16,2% – è evidente che il lavoro povero resta una realtà (sconfortante) per milioni di persone.
Il nuovo studio Eurostat traccia un vero e proprio ‘identikit’ del lavoratore in condizioni di povertà. Emerge innanzitutto una sostanziale differenza di genere, dato che il 17,1% delle donne europee ha uno stipendio basso, mentre per gli uomini la percentuale scende al 12,6%. Soffrono di più i giovani, poi, che rappresentano un quarto di questa demografica: il 25,2% degli under 30 riceve stipendi troppo bassi, contro il 12,1% dei lavoratori tra i 30 e i 49 anni, e il 13,4% degli over 50.Da notare anche il fatto, non sorprendente, che i salari più bassi risultino legati al livello di istruzione dei lavoratori: guadagna troppo poco il 27,5% di chi non un titolo di studio, la licenza elementare o la licenza media; mentre il dato scende al 17,5% per chi ha un diploma di scuola superiore o una formazione professionale post-diploma; e solo il 4,8% di chi ha un titolo universitario o un dottorato di ricerca percepisce stipendi da fame.
Ma a pesare maggiormente, come evidenzia Eurostat, è il tipo di contratto. Soffre infatti il 27,2% dei lavoratori con un contratto a termine, mentre lo stesso accade solo al 12,6% dei lavoratori con un contratto a tempo indeterminato. Chi rischia la povertà, quindi, è soprattutto chi non può contare su un posto fisso.
Il dato italiano e i problemi strutturali
A rincuorare, almeno in apparenza, è il fatto che l’Italia si collochi comunque tra i Paesi europei con minore incidenza di lavoratori a bassa retribuzione. Con un tasso dell’8,8%, il nostro Paese è al di sotto della media Ue del 14,7%. Ma il dato italiano sembrerebbe falsato da problemi strutturali.
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In sostanza, la bassa percentuale italiana sarebbe dovuta a fattori strutturali come la presenza dei contratti collettivi e una minore incidenza del part-time involontario. Tutti dati che mascherano quello che invece ci comunica da tempo l’Istat, cioè che in Italia lavoro precario e a tempo determinato sono in aumento, mentre calano le retribuzioni. Occorre inoltre considerare l’alta presenza, da noi, del lavoro autonomo e delle finte partite Iva, fenomeno che in alcuni casi potrebbe nascondere forme di precarietà non rilevate dalle statistiche.
Il rischio povertà per i lavoratori a tempo determinato
Emerge insomma una fotografia sconfortante, per i lavoratori con contratti a termine – ben 3,2 milioni di Italiani. Parliamo soprattutto di giovani under 30 (quindi il futuro del Paese), nei settori a bassa qualificazione e in particolare al Sud, dove il precariato è un problema ormai endemico. Chi lavora con un contratto a tempo determinato guadagna meno rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato, sia in termini di stipendio mensile che orario. E questo si traduce, ovviamente, in un rischio maggiore di instabilità economica e di difficoltà nel costruire un futuro lavorativo sicuro.
Esisterebbe una soluzione al problema, seppure complessa. Cioè provare a ridurre il divario salariale, con la volontà delle istituzioni e delle parti sociali, tra precari e lavoratori a tempo indeterminato. Favorendo in questo modo una maggiore stabilità occupazionale, con norme più stringenti sul mercato del lavoro. Ma parliamo di riforme importanti e investimenti sostanziali. E non è affatto detto che il Governo sarà in grado di muoversi in questa direzione.