Aumentano i lavoratori poveri e le disuguaglianze. A certificarlo è l’stat, che conta 1 milione e 255 mila lavoratori (tra donne e uomini) con una paga inferiore a 8,9 euro l’ora. Rispetto all’ultimo report, datato 2018, la percentuale è salita di quasi un punto, e il dato al momento è soltanto parziale (non sono conteggiate l’agricoltura, gli autonomi e le micro imprese). Altrettanto preoccupante è la differenza di retribuzione tra donne e uomini. Il cosiddetto ‘gender pay gap’, nel nostro Paese, raggiunge vette del 30%. E dire che questo sarebbe il primo Governo guidato da un Presidente del Consiglio donna. Vediamo qui sotto tutti i dettagli.
Aumentano i lavoratori poveri, i dati Istat
Si apre con dati allarmanti questo 2025 per l’Italia. L’Istat ha reso pubblico il suo rapporto quadriennale sulle retribuzioni, fotografia riferita al 2022 che restituisce un quadro sconfortante sulla situazione del lavoro povero nel nostro Paese. L’istituto di statistica conta almeno 1 milione e 255 mila lavoratori – 618 mila donne e 637 mila uomini – con una paga inferiore a 8,9 euro l’ora, soglia che determina il nuovo livello di povertà. Si tratta addirittura del 10,7% dei lavoratori dipendenti, pubblici e privati, impiegati nelle imprese da 10 dipendenti in su che operano nei settori dell’industria e dei servizi.
Rispetto all’ultimo rapporto quadriennale, quello relativo al 2018, la percentuale del lavoro povero in Italia è cresciuta di quasi un punto, dal 9,8% al 10,7%. Certo, va notato pure che a salire è stato anche il livello di retribuzione oraria al di sotto del quale il lavoro è considerato povero (limite passato da 8,5 a 8,9 euro all’ora). Ma questo non rende meno critica la situazione. Sopratutto se si tiene conto che il Governo, stimolato dalle opposizioni, era stato coinvolto in una discussione seria sull’introduzione di un salario minimo legale (9 euro). Decisione che è stata stroncata sul nascere sia da Meloni che dal Cnel.La ricaduta su donne, giovani e precari
Nel suo rapporto sul lavoro povero l’Istat fornisce anche altri dettagli. Si nota, ad esempio, che la percentuale di dipendenti a bassa retribuzione è più alta tra le donne: parliamo del 12,2% (618 mila lavoratrici) rispetto all’11,6% del 2018. Mentre gli uomini sono passati dall’8,5% del 2018 al 9,6% (637 mila lavoratori). E non se la passano bene neppure il giovani under 29: in questa categoria i dipendenti poveri sono il 23,6% del totale (371 mila), quasi uno su quattro.
Per chi invece ha titoli di studio inferiori al diploma, la percentuale di povertà si attesta sul 18% (era pari a 17,4% nel 2018). Mentre oltre un terzo dei lavoratori non qualificati (33,3%) risulta sotto la soglia degli 8,9 euro all’ora. Possiamo quindi ricavare un quadro chiaro: in Italia le basse retribuzioni orarie incidono soprattutto su donne, giovani, lavoratori poco istruiti e lavoratori non qualificati. Che sono poi le stesse categorie in cui è più forte l’incidenza del part-time e del contratto a tempo determinato. In pratica alla beffa del lavoro precario, certifica l’Istat, si aggiunge pure la discriminazione inaccettabile di paghe orarie sotto la soglia minima.
Il problema del gender pay gap
Come se non bastasse, sotto il Governo Meloni il nostro Paese ha raggiunto livelli record nel gender pay gap, cioè la differenza salariale tra uomo e donna a parità di tutte le altre condizioni (orario, carriera, contratto). In media le donne guadagnano il 5,6% in meno per un’ora di lavoro: 15,9 euro contro i 16,8 euro degli uomini. Una percentuale che si alza ulteriormente nelle imprese private, dove arriva al 15,9%, ma anche tra i laureati (16,6%) e tra i lavoratori che hanno solo la licenzia media (15,2%).
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Ed è drammatica anche la situazione ai ‘vertici’. Tra i dirigenti, le donne vengono pagate il 30,8% in meno per la stessa ora lavorata dagli uomini, ovvero 34,5 euro contro i quasi 50 euro della controparte maschile. Uno scarto che non dovrebbe essere possibile in un Paese moderno e avanzato come il nostro. Eppure oggi ci troviamo qui a discutere proprio di questo. Di come il Governo permetta l’esistenza di 1 milione e 255 mila lavoratori con stipendi sotto il livello di povertà. Quando l’unica cosa da fare, la più urgente, sarebbe intavolare un discorso sull’introduzione del salario minimo. Una soluzione che altri Paesi europei hanno già abbracciato con coraggio.