Nel Sud Italia, il precariato non è più un’eccezione ma la regola – una situazione che si ripete nelle vite di migliaia di giovani come Anna (nome di fantasia), trentenne laureata con diversi corsi di specializzazione alle spalle. Eppure, nonostante titoli e formazione, un’occupazione dignitosa per lei sembra irraggiungibile. Ecco i dettagli.
Dal “periodo d’oro” nel call center alla precarietà assoluta
Anna aveva assaporato una breve parentesi di stabilità lavorando in un call center nell’assistenza clienti. Quello che chiamava il suo periodo d’oro, perché finalmente aveva uno stipendio sufficiente a vivere, pagare le bollette e fare la spesa. Una normalità che però in Italia ha spesso la data di scadenza: contratti a termine, rotazioni tra agenzie interinali, rinnovi – fino all’inevitabile interruzione. Merito e capacità contano poco: chi supera la soglia massima di rinnovi viene lasciato a casa, a prescindere dai risultati o dall’impegno messo sul campo.
Incentivi finiti male: il fallimento del “Resto al Sud” e la trappola dei consulenti
Quando il lavoro stabile è mancato, la famiglia di Anna ha provato la via dell’imprenditoria locale approfittando degli incentivi “Resto al Sud”. Una scommessa, però, segnata fin dall’inizio dalla complessità burocratica e dalla superficialità di consulenti e mediatori: lentezza nei pagamenti, macchinari consegnati con anni di ritardo, fondi promessi e poi revocati. E a pagarne le conseguenze non sono stati solo i risparmi, ma anche la casa dei genitori, finita all’asta. La situazione ha portato anche a drammi familiari: il padre, stremato, ha scelto il suicidio dopo aver visto crollare il futuro per cui aveva lottato.
Dopo il call center solo lavoro nero o contratti part-time
Archiviata la parentesi imprenditoriale, Anna ha tentato il ritorno nel suo ambito, quello amministrativo e contabile. Il risultato? Proposte di lavoro in nero o part-time sottopagati: stipendi tra i 600 e i 1.000 euro al mese, troppo poco per chiunque, figuriamoci per chi sogna una famiglia. “Ma com’è possibile che si guadagni di più in un call center che per tenere la contabilità di un’intera azienda?”, domanda retoricamente Anna.
Bonus solo per chi ha figli: il paradosso degli incentivi
Intanto, nel puzzle dei bonus italiani, Anna si scopre ancora una volta esclusa: niente figli, quindi nessun aiuto, nessun sostegno, nessuna agevolazione sulle utenze. “Ma come potrei permettermi di mantenere un figlio con 1000€ di stipendio”, dice, “di cui 500€ spesi in affitto e il resto in bollette?”.
Un destino comune tra i giovani del Sud
Quella di Anna non è un’eccezione. Il Sud è pieno di “talenti sprecati”, giovani brillanti che collezionano titoli senza sbocchi e adulti costretti ad arrangiarsi tra precarietà e lavoretti, a rischio di perdere tutto da un giorno all’altro. La retorica delle politiche attive e delle startup si scontra ogni giorno con una realtà fatta di burocrazia, rassegnazione e, troppo spesso, vere e proprie tragedie familiari.
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Così, mentre Anna e tanti altri attendono un’occasione reale, il Governo continua a proporre bonus, bandi e slogan sulla meritocrazia. Ma nel concreto, restano i numeri: elevata disoccupazione giovanile, precarietà cronica, storie di successo che diventano eccezioni invece che regola. Le vite di Anna e della sua famiglia sono l’emblema di un sistema che, chiamato a proteggere talento e sacrifici, troppo spesso offre solo illusioni e danni irreversibili.