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“1000 posti di lavoro al giorno”: la retorica di Giorgia Meloni sotto la lente (reale) dei dati  

Stando al racconto della Premier Meloni, il Governo ha saputo creare ben 1.000 posti di lavoro al giorno. Ma la realtà svelata dai dati è molto più complessa.

di Redazione
22 Luglio 2025
in Attualità
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“1000 posti di lavoro al giorno”. Così Giorgia Meloni ha scelto di celebrare i mille giorni del suo Governo. Con uno slogan potente e senza dubbio efficace: mediamente, “sono stati creati più di mille posti di lavoro nuovi e a tempo indeterminato” ogni giorno, “per un totale di oltre un milione”. Una cifra dall’effetto mediatico garantito, e rilanciata con entusiasmo dai suoi sostenitori politici. Ma dietro questa narrazione trionfalistica, cosa raccontano (davvero) i numeri reali del mercato del lavoro italiano? E quante ombre si nascondono dietro la formula pubblicitaria del Primo Ministro? Ecco qui sotto tutti i dettagli.

Sommario

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  • “1000 posti al giorno”, da dove arriva la cifra di Meloni
  • I numeri reali: crescita occupazionale sì, ma molto più ‘sfumata’
  • Il paradosso del ‘lavoro povero’
  • Il confronto (impietoso) con la realtà europea e il dettaglio del turnover
  • I limiti della retorica meloniana: quali sono i veri problemi ignorati?

“1000 posti al giorno”, da dove arriva la cifra di Meloni

Leggi anche  Pensioni e riforma, i conti non tornano
A spingere la Premier a questa dichiarazione è un’evidenza statistica: dal suo insediamento (ottobre 2022) alla metà di luglio 2025, il saldo degli occupati in Italia è aumentato di oltre 1 milione di unità, secondo i dati ISTAT e in base a quanto dichiarato dallo stesso Governo. Quindi, semplificando, 1 milione di posti in mille giorni fa…mille posti al giorno.

Ma questa operazione aritmetica, alla stregua dei migliori slogan populisti, cela diversi problemi di analisi e interpretazione.

I numeri reali: crescita occupazionale sì, ma molto più ‘sfumata’

È corretto riconoscere che il mercato del lavoro italiano ha registrato una fase espansiva negli ultimi anni, raggiungendo livelli record di occupazione (oltre 24,3 milioni gli occupati a maggio 2025). Il tasso di occupazione ha infatti toccato il massimo storico del 62,9%. Tuttavia, la realtà è ben più complessa della sintesi meloniana. “Mille posti al giorno” non significa mille posizioni lavorative stabili o strutturali: buona parte di queste nuove assunzioni sono invece frutto di turnover, pensionamenti e cambi di status lavorativo, più che di crescita netta ‘vera’ della domanda di lavoro.

La crescita occupazionale, inoltre, non è uniforme: i settori che crescono – soprattutto servizi a bassa specializzazione, logistica, turismo – spesso offrono impieghi precari o part-time, non occupazione stabile. E se diminuiscono i contratti temporanei, aumentano gli autonomi, mentre crollano i tempi determinati (-5,5%). Un dato positivo, ma che da solo non basta a parlare di miracolo occupazionale.

Il paradosso del ‘lavoro povero’

Per capire quanto sia fallace la narrazione dei “mille posti al giorno”, serve poi distinguere tra posto di lavoro e qualità dell’occupazione. Infatti, a ben guardare:


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  • La disoccupazione in Italia è in lieve aumento, dato che il tasso di disoccupazione a maggio 2025 è salito al 6,5% (+0,4 punti percentuali su base mensile), e quello giovanile vola al 21,6%
  • Persiste il divario territoriale e di genere: il Sud, e le donne, continuano a scontare livelli di occupazione nettamente inferiori alla media nazionale
  • Aumentano i lavoratori ‘poveri’ e part-time, quindi la quota di chi, pur lavorando, non guadagna abbastanza per una vita dignitosa.

Il confronto (impietoso) con la realtà europea e il dettaglio del turnover

E il trionfalismo del Governo Meloni vacilla ancor più se messo a confronto con il contesto europeo e globale. Il tasso di occupazione in Italia è fermo al 62,9%, mentre la media OCSE si attesta sul 70,4%. Quanto al tasso di disoccupazione, anche qui il nostro Paese non brilla affatto, dato che la media OCSE è del 4,9%, mentre noi siamo bloccati sul 6,5%. Insomma, nonostante il recupero, l’Italia resta stabilmente in coda all’Europa quanto a occupazione generale, femminile e giovanile.

Un altro aspetto ‘manipolato’ dal racconto governativo, poi, è che gran parte dell’incremento occupazionale deriva dal turnover e non da nuova domanda di lavoro: quasi i due terzi dei ‘nuovi posti’ sono infatti una compensazione di uscite (pensionamenti, mobilità).

I limiti della retorica meloniana: quali sono i veri problemi ignorati?

In sintesi, la retorica di Meloni e colleghi ignora (volutamente) i veri problemi strutturali che da anni affliggono il nostro mondo del lavoro. Ovvero:

  • L’occupazione cresce meno che nel resto d’Europa
  • Il lavoro che nasce è spesso debole, sottopagato o precario
  • La distanza tra Nord e Sud, e tra uomini e donne, resta abissale.

La narrativa della destra sorvola infine sul fatto che la crescita economica italiana, nel primo semestre 2025, sia stata piuttosto lenta (+0,3% di PIL nel trimestre), sintomo di una ripresa più fragile del racconto ufficiale. Certo, 1 milione di occupati in mille giorni fa impressione, ma non cambia il volto strutturale di un mercato del lavoro che, per motivare l’inno all’ottimismo del Governo, avrebbe bisogno di innovazione, inclusione, riduzione della povertà lavorativa e del gap tra le generazioni.

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Developer: Lazycat Solutions
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Tags: melonioccupazioneposti di lavoro
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