ADI e disabilità sono spesso un binomio complesso e che prevede lunghi percorsi burocratici fatti di accertamenti della disabilità, certificati e altre complessità.
Ancor più la situazione si complica quando a fare da contorno vi è anche alla base l’errore dei CAF o dai patronati, che pur agendo in buona fede, talvolta possono commettere errori di valutazione, dovuti anche alla poca trasparenza delle indicazioni fornite da INPS.
Ora, ci scrive Valentina (nome di fantasia) invalida al 60%, che ad oggi si ritrova senza sussidio e a dover restituire l’indebito: tutto perché in sede di domanda, le sono stati dati suggerimenti errati; e poi perché in sede di verifica, INPS ha commesso dei gravi errori.
“Al patronato mi hanno fatto fare domanda ora devo restituire le somme”
“Sono invalida al 60 per cento con disabilità art 3 comma 1. Ho presentato domanda Adi il 22 dicembre con ISEE con disabilità media, come dice il CAF. Solo che io ho segnato sulla domanda non la disabilità media ma la presa in carico dei servizi sociali, su suggerimento del patronato. Io mi sono sono fidata e affidata“. Racconta Valentina.
Già qui, a monte, vi è un primo errore: Valentina rientra tra i soggetti che non hanno diritto ad ADI, poiché le soglie di invalidità devono superare almeno il 66%. Perché le è stato permesso di presentare domanda? Come mai nessuno l’ha avvisata che non rientrava tra gli aventi diritto?
Al limite Valentina potrebbe rientrare (su verifica delle ASL) tra i soggetti svantaggiati, come giustamente le era stato suggerito al patronato.
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Così infatti Valentina si ritrova “al gennaio 22 domanda sospesa. Chiedo chiarimenti ad inps che mi scrive che la domanda è ‘in evidenza alla sede‘” Vengo pertanto invitata a correggere l‘ISEE.”
A questo punto, ci dice Valentina, a seguito delle correzioni e a seguito della comunicazione della sua invalidità, INPS procede all’erogazione del sussidio: 3 mensilità, nello specifico (ed inspiegabilmente, dato che non era in possesso dei requisiti percentuali per accedere ad ADI. Non con l’invalidità, almeno).
Dopo le tre mensilità però INPS fa ulteriori accertamenti e la domanda decade: se non fosse che ora, come racconta la nostra utente, le viene chiesta la corresponsione delle somme a lei erogate erroneamente.
“Mi hanno pagato e accolto dopo un mese dalla correzione, e ora mi accusano di appropriazione indebita? Io non ci sto, anche perché in domanda ho dichiarato lo svantaggio che il comune però non vuole certificare e ora su loro richiesta ho inviato tutti i movimenti dei conti correnti dove non ho niente”. Chiaramente, Valentina è vittima di un errore.
ADI e disabilità: niente invalidità e niente condizioni di svantaggio
Ora Valentina dovrà restituire le somme per un sussidio che prima le è stato corrisposto e poi tolto. Possibile che nessuno riesca a fare chiarezza sulle certificazioni di svantaggio da un lato, e sulle percentuali di invalidità dall’altro, una volta per tutte?
Possibile che le ASL non riescano materialmente ad accertare se, quanto meno, Valentina (come tanti altri) sono soggetti svantaggiati?
E come può un privato cittadino, che non è addentro alle pratiche burocratiche e alle mille regole, essere “punito” per “appropriazione indebita” quando semplicemente gli è stato erogato il sussidio che aveva chiesto?
Fintanto che nessuno agirà con chiarezza per definire i chiari limiti degli aventi diritto ad ADI, “errori” del genere saranno all’ordine del giorno. E purtroppo, a pagarne le conseguenze, saranno sempre i cittadini.