Assegno unico, l’UE deferisce l’Italia
Ebbene sì. È arrivata la prima spallata dell’Unione contro l’Italia, con un tempismo tale da fare sospettare motivazioni (anche) di opportunità politica. Ma quello che è certo, rimanendo sui fatti, è che l’Assegno unico introdotto nel 2022 non è piaciuto per niente a Bruxelles. Che adesso deferisce per buona misura l’Italia alla corte di giustizia.
L’azione è pesante, e arriva con una nota della Commissione in cui si riannodano i fili dell’iter che ha portato a questa spiacevole, seppure inevitabile conclusione. Infatti l’organismo dell’UE ricorda come a marzo 2022 l’Italia abbia deciso di introdurre un nuovo regime di assegni familiari per figli a carico, denominato appunto “Assegno unico e universale per i figli a carico”. Ma in base alla misura, i lavoratori che non risiedono in Italia per almeno 2 anni, o i cui figli non risiedono in Italia, non possono beneficiare delle prestazioni garantite dall’assegno. Uno strano meccanismo, che stando all’Unione Europea non rispetta assolutamente i diritti dei lavoratori mobili.
Le motivazioni di una scelta
Ecco come motiva la decisone Bruxelles. La Commissione, leggiamo, “ritiene che tale regime non sia compatibile con il diritto dell’UE in quanto costituisce una discriminazione nei confronti dei lavoratori mobili dell’Ue”. Dato che “uno dei principi fondamentali dell’Unione è quello della parità di trattamento delle persone, senza distinzioni basate sulla nazionalità. Secondo questo principio di base, i lavoratori mobili dell’UE che contribuiscono allo stesso modo al sistema di sicurezza sociale e pagano le stesse tasse dei lavoratori locali hanno diritto alle stesse prestazioni di sicurezza sociale”.
Parole come macigni, per il Governo sovranista in carica. Perché è evidente che il motto “prima gli italiani” – con le mille varianti del “made in Italy” che oggi si ama sbandierare (senza però difenderlo, nei fatti) – in Europa non funziona. Facciamo pur sempre parte di una comunità sovranazionale e continentale. Che ha regole precise e rispetta le persone in quanto tali, a prescindere dalla loro nazionalità.
La violazione delle regole Ue
A livello di legislazione europea, l’assegno unico va chiaramente contro le regole. Perché viola, in primis, il diritto dell’UE in materia di coordinamento della sicurezza sociale, come sancito dal regolamento 883/2004. Ma va anche contro il diritto di libera circolazione dei lavoratori, come da regolamento 492/2011 e articolo 45 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Un doppio sgarro, dunque, che non poteva passare inosservato.
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“In base al principio della parità di trattamento”, continua la nota UE, “i lavoratori mobili dell’UE che lavorano in Italia ma non sono residenti in Italia, quelli che si sono trasferiti solo di recente in Italia o quelli i cui figli risiedono in un altro Stato membro dovrebbero beneficiare delle stesse prestazioni familiari concesse agli altri lavoratori in Italia. Inoltre il principio dell’esportabilità delle prestazioni previsto nel regolamento relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale vieta qualsiasi requisito di residenza ai fini della percezione di prestazioni di sicurezza sociale quali le prestazioni familiari”.
Difficile che il Governo trovi a questo punto scappatoie. Anche perché di avvisi ne erano già arrivati, a suo tempo. La Commissione aveva mandato tempestivamente una lettera di costituzione in mora all’Italia, più di un anno fa, cioè nel febbraio 2023. Poi anche un parere motivato, in data novembre 2023. Ma visto che “la risposta dell’Italia non ha tenuto sufficientemente conto dei rilievi della Commissione, quest’ultima ha deciso di deferire il caso alla Corte di giustizia dell’Unione europea”. Ci chiediamo cosa farà adesso l’esecutivo Meloni per rispondere all’affronto. O quali scuse inventerà, ora, quando c’è poco da fare e molto, moltissimo da rimediare.