Autonomia differenziata, ora è legge
Ora il provvedimento è legge. L’Autonomia differenziata è stata promulgata dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in data 26 giugno 2024. Continua così l’iter verso la concreta attuazione della Legge. E ovviamente esultano, chi più chi meno, coloro che hanno spinto a lungo per questo risultato. Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, si azzarda a parlare di una data storica, aggiungendo: “Adesso attenderemo la pubblicazione in gazzetta ufficiale per poi chiedere di ripartire con le trattative rispetto alle materie previste dalla Costituzione”. “Sono così smentite, in un solo atto, settimane di bugie e di strumentalizzazioni”, aggiunge poi il deputato della Lega Alberto Stefani, relatore dell’Autonomia alla Camera. Ma è davvero così semplice? Cattivi e buoni, bianco e nero? Analizziamo qui sotto i particolari.
Autonomia differenziata, che cos’è
Il 19 giugno scorso la Camera, in mattinata, ha approvato in via definitiva il disegno di legge (voluto fortemente dal leghista Calderoli) sull’autonomia differenziata. Vuol dire che l’iter prosegue, anche se sarà lunga prima di vedere applicata la nuova norma nel nostro Paese. Il provvedimento in questione si compone di 11 articoli, con finalità indicate nell’articolo 1 come segue:
- Si punta al rispetto dell’unità nazionale, rimuovendo discriminazioni e disparità di accesso ai servizi essenziali sul territorio
- Si ricerca il rispetto dei principi di unità giuridica ed economica, di coesione economica, sociale e territoriale, ma anche dei princìpi di indivisibilità e autonomia
- È definita essenziale l’attuazione del principio di decentramento amministrativo
- C’è il fine di favorire la semplificazione e l’accelerazione delle procedure, la trasparenza e la distribuzione delle competenze volta ad assicurare il pieno rispetto dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, così come definito dall’articolo 118 della Costituzione
- Ci si appella anche al rispetto del principio solidaristico, di cui gli articoli 2 e 5 della Costituzione
Tutte belle parole e altrettanti splendidi propositi. Ma lo scopo “sotterraneo” di questa autonomia differenziata, cioè quello che davvero pare interessare al Governo, è accontentare in primis gli alleati della Lega, mentre si punta a un accentramento dei poteri tramite l’altro cavallo di battaglia: il premierato.
Insomma, da una parte si dividono le Regioni italiane e le amministrazioni locali, dall’altra quello che conta, a quanto sembra, è che al Premier resti in mano un controllo fortissimo, centrale, di tutte le decisioni-chiave. Ma c’è un punto critico, che potrebbe benissimo giocare a sfavore del Governo. Nel disegno di legge sull’autonomia differenziata è stabilito quanto segue: l’attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme di autonomia (alle Regioni) è consentita solo in subordinazione alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, (primo comma, lettera m) della Costituzione. In parole semplici: se a monte non sono garantiti i cosiddetti livelli essenziali di prestazione (LEP), l’autonomia differenziata non può diventare operativa.
L’iter di approvazione e lo “scoglio” LEP
L’iter di approvazione dell’autonomia differenziata ha già superato due scogli notevoli, più un terzo quasi scontato a questo punto (perché non c’erano appigli sostanziali), cioè la promulgazione avallata dal Presidente Mattarella. Primo passo, l’approvazione in Senato. L’assemblea aveva avviato l’esame del disegno di legge nella seduta del 10 gennaio 2024, e dopo aver respinto una questione pregiudiziale e l’ordine del giorno di non passaggio agli articoli, ha finito per approvare alcuni emendamenti al testo della Commissione. Poi c’è stata la luce verde ufficiale, in prima lettura, nella seduta del 23 gennaio 2024.
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Il passo successivo è stato la Camera. Tra i deputati si è avviato l’esame del disegno il 14 febbraio 2024, con un passaggio presso la Commissione Affari costituzionali. Il ciclo di audizioni informali si è concluso nella seduta del 10 aprile 2024, poi la fine dell’esame nella seduta del 27 aprile. Fino all’approvazione definitiva del testo, in data 19 giugno 2024. In pratica sono bastati 6 mesi, per far passare tra Camera e Senato una legge che potrebbe ridefinire il panorama socio-economico italiano.
Anche se al Governo Meloni resta (ancora) un ostacolo molto grosso. Gli ormai mitici LEP, ovvero una serie di paletti che devono essere preventivamente garantiti perché si passi, in definitiva, dalle leggi ai fatti. In termini più concreti, il Governo deve adottare, entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento (quindi 19 giugno scorso) uno o più decreti legislativi per l’individuazione dei LEP, sulla base dei principi e criteri stabiliti dalla legge di bilancio 2023. Insomma, prima di questo passaggio decisivo, rimane impossibile per le Regioni qualsiasi ipotesi di trasferimento di competenze aggiuntive in 14 materie elencate dalla legge Calderoli (articolo 3, comma 3). Le 14 materie sono:
- Istruzione
- Tutela dell’ambiente
- Sicurezza del lavoro
- Ricerca scientifica e tecnologica
- Tutela della salute
- Alimentazione
- Ordinamento sportivo
- Governo del territorio
- Porti e aeroporti civili
- Grandi reti di trasporto e di navigazione
- Ordinamento della comunicazione
- Produzione
- Trasporto e distribuzione nazionale dell’energia
- Valorizzazione dei beni culturali e ambientali
La mossa di Lombardia e Veneto
Visto l’impedimento dei LEP, in Veneto e Lombardia i governatori si stanno attrezzando. Luca Zaia e Attilio Fontana sono pronti: non appena il disegno di legge sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale, chiederanno al Governo l’apertura del tavolo delle trattative per il trasferimento delle prime competenze alle Regioni. Cercano di accaparrarsi, e in fretta, le 9 materie (su 23 totali) che risultano già trasferibili sotto il loro potere senza previa determinazione dei LEP. Parliamo in questo caso di materie di legislazione concorrente tra Stato e regioni, ovvero:
- Rapporti internazionali e con l’Unione europea
- Protezione civile
- Commercio con l’estero
- Professioni
- Protezione civile
- Previdenza complementare e integrativa
- Coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario
- Casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale
- Enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale
- Organizzazione della giustizia di pace
Aspetti comunque critici, nell’amministrazione dello Stato, che in breve tempo potrebbero già sfuggire dalle mani di Roma.
Le storture di un’idea (che arriva da lontano)
Non va però dimenticato un fatto. L’idea dell’autonomia differenziata non nasce oggi, ma affonda le radici nel vecchio Governo D’Alema. Proprio l’ex Presidente del Consiglio, infatti, aveva introdotto i principi del federalismo nel titolo V della seconda parte della Costituzione, che disciplina il funzionamento degli enti locali. Lo appoggiava anche Giuliano Amato, allora ministro per le Riforme istituzionali. Il disegno di legge originale fu presentato alla Camera il 18 marzo del 1999, poi il lungo iter con approvazione in via definitiva l’8 marzo del 2001.
Quindi oggi Calderoli dice il giusto, quando afferma che le basi dell’autonomia differenziata sono state messe dal centrosinistra. Ma ciò non toglie che la legge di allora fosse diversa, più ponderata, meno estrema. La nuova formulazione di questo Governo, invece, spinta da Salvini e da Calderoli, sembra fatta apposta per dividere tanto l’opinione pubblica quanto il Paese, in senso economico e sociale.
Riflessioni finali sull’autonomia differenziata
Concludiamo con due riflessioni. L’autonomia differenziata non sembra la notizia migliore, in un momento di grandi divisioni sociali in tutta Europa e di pressioni extra-europee che minacciano i Paesi democratici. L’Italia dovrebbe pensare a restare unita e rafforzarsi economicamente, invece qui il messaggio sembra chiaro: ognuno pensi al suo “orticello”, il Nord si stacca, il Centro-Sud è abbandonato.
Come abbiamo visto, però, il provvedimento voluto dalla Lega produrrà effetti concreti solo tra parecchio tempo. Sempre che non si areni nel mezzo. Intanto si accendono gli allarmi: tutte le più autorevoli istituzioni nazionali (e internazionali) – come Banca d’Italia, Ufficio parlamentare di Bilancio (UPB) e Commissione Europea – ad oggi ritengono probabile il rischio di un aumento del divario Nord-Sud. Inoltre per la Banca d’Italia e l’UPB la frammentazione creata dall’autonomia potrebbe rendere nel meno competitivo l’intero Paese Italia, nel suo complesso. Soprattutto su quelle materie, come infrastrutture, energia, ricerca, politiche del lavoro, dove è richiesto un coordinamento nazionale.
In pratica non c’è da stare allegri. Per niente. Se quello che serviva al Sud erano investimenti e crescita, come accadde per breve tempo grazie alla Cassa per il Mezzogiorno (operativa dal 1950 fino alla metà degli anni Settanta), ora quello che si ottiene è l’esatto opposto. Un pugno allo stomaco che esalterà le differenze. E dire che il Governo si professa un amante e protettore, di questa nostra italianità.