Autonomia differenziata, inizia la rivolta
Puglia, Sardegna, Toscana. Tre Regioni hanno già fatto ricorso alla Corte Costituzionale per dire stop all’attuazione dell’Autonomia differenziata. Una legge “spacca Italia”, che minaccia di scavare un fossato ancora più profondo tra Sud e Nord del Paese. E che non va giù nemmeno a Regioni tradizionalmente “ricche”, come L’Emilia-Romagna, il cui consiglio regionale ha già approvato la proposta sul referendum abrogativo.
Insomma, sono tutti contro la norma Calderoli, perché come si legge nei ricorsi vengono dati “troppi poteri al governo nel firmare le intese, nessuna garanzia sulla perequazione e il rispetto dei Livelli essenziali delle prestazioni in tutto il Paese”. E come sostiene Eugenio Giani, Presidente della Regione Toscana, è evidente che la legge sull’Autonomia “cristallizzerà e amplificherà le diseguaglianze tra le Regioni, tra le aree più forti e quelle più deboli del Paese. E non è soltanto una minaccia concreta all’unità nazionale, ma un macigno sulla strada del regionalismo equo e solidale voluto dai padri costituenti, a partire da Piero Calamandrei”.
Sono tanti i punti critici contestati. C’è in primis il rischio di creare un Paese a due velocità, in cui i servizi forniti dalle Regioni ai cittadini siano legati alla capacità fiscale complessiva di ogni territorio. Poi preoccupa, e non poco, l’impossibilità per lo Stato di intervenire nella redistribuzione delle risorse e garantire così diritti civili minimi nei territori. Ecco di seguito i punti-chiave su cui stanno facendo leva i ricorsi alla Consulta di Sardegna, Puglia, Toscana (e a breve anche Campania). Per provare a smontare in partenza la legge Calderoli.
I punti critici contestati dalle Regioni
Nei ricorsi emergono parecchi elementi ricorrenti. In primo luogo, si fa presente che la Costituzione italiana non consente la cessione di tutte le materie indicate dalla legge sull’Autonomia. “Nel primo e terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione”, leggiamo all’interno dei ricorsi, “si usa l’espressione ‘forme e condizioni particolari di autonomia’ che possono essere attribuite anche alle Regioni diverse dalle cinque ad Autonomia speciale…invece nella norma impugnata si dà vita a uno Stato con poteri regionali paradossalmente anche più forti di quelle attualmente riconosciute come speciali”.
In pratica, con la norma Calderoli si vorrebbe realizzare una “forma di Stato nuova che lascerebbe al livello centrale meno di quanto generalmente gli è attribuito in ordinamenti federali senza, tuttavia, una serie di garanzie normalmente ivi previste la tutela dell’unità del Paese e del raccordo tra il livello centrale e periferici”. Oltre a questo, si aggiungono altre criticità:
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- Troppo potere al Governo. Nei ricorsi alla Corte Costituzionale si lamenta l’eccessiva discrezionalità data al Governo nel tracciare le intese con le singole Regioni, per quanto riguarda la cessione delle materie. “Sembra emergere un disegno di powers shopping”, leggiamo nel ricorso presentato dalla Toscana, “in virtù del quale ciascuna Regione, a proprio gusto o comunque arbitrio, può decidere di chiedere alcune o tutte le materie possibili, ottenendo da parte del governo una maggiore o minore adesione, anche in questo caso in modo del tutto arbitrario, non essendovi parametri di riferimento: ciò finendo, quindi, probabilmente, per dipendere (anche o soprattutto) dalla maggiore o minore vicinanza politica”
- In più, preoccupa il fatto che le intese tra Governo e Regioni vadano a escludere totalmente il Parlamento e la conferenza delle Regioni. Come sottolinea il ricorso della Sardegna “tutto avviene su iniziativa governativa, senza alcuna consultazione con le Regioni, neppure in sede di Conferenza”. E inoltre la legge Calderoli relega “il Parlamento ad un ruolo marginale a tutto vantaggio del governo”
- Manca una garanzia su Lep e diritti civili. Ciò significa che l’Autonomia differenziata impedirebbe allo Stato centrale di redistribuire localmente le risorse, in modo tale da garantire i servizi minimi previsti nella Costituzione. Quindi la definizione a tavolino dei tanto decantati Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) sarebbe solo uno specchietto per le allodole. Perché come sottolinea il ricorso toscano si “censura il trasferimento delle funzioni solo previa determinazione del Lep senza che questi siano però poi realmente garantiti…manca qualunque riferimento a un esame dei dati reali relativi al godimento dei diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale come la Costituzione esige”
- Disparità illegittima di trattamento per le Regioni. L’ultimo punto cruciale riguarda il rischio (concretissimo) di spaccare in due il Paese. Si vuole infatti togliere ogni potere allo Stato di rimediare ai divari territoriali, dato che l’autonomia fiscale impedirebbe qualsiasi redistribuzione equa delle risorse. “La scelta del legislatore”, leggiamo ancora, “di vincolare il reperimento delle risorse economico-finanziarie per l’esercizio delle funzioni trasferibili alla sola compartecipazione al gettito dei tributi erariali, senza la previsione di specifici correttivi, determina un’illegittima disparità di trattamento tra Regioni, in ragione della loro maggiore o minore capacità fiscale pro capite”.
Le Regioni “ricche” dovranno aspettare
Ma non tutte le Regioni sono contro l’Autonomia. Una delle poche voci a sollevarsi, dopo il ricorso di Sardegna, Toscana e Puglia, è stata quelle di Luca Zaia. Il Governatore del Veneto si è detto recentemente in disaccordo con le proteste, e ha annunciato un contro-ricorso: La “Sardegna e altri che hanno impugnato la legge ledono i nostri diritti, e quelli di chi vuole l’autonomia. Presenteremo un contro appello alla Consulta”.
Ma ci vuole poco a capire il perché della contrarietà di Zaia. Il Veneto è tra le Regioni più ricche del Paese, e infatti insieme a Lombardia ed Emilia-Romagna si accinge a rivendicare il maggior numero possibile di materie da togliere al controllo statale. Dalla protezione civile ai rapporti internazionali, passando per l’energia e la tutela della salute e dell’ambiente. L’idea è di fare da sé per arricchirsi ancora di più. Ma non è così semplice come sembra.
Difatti l’autonomia effettiva delle Regioni non sarà pronta prima di 24 mesi (come minimo). Perché vanno stabiliti i Lep, cioè i livelli minimi dei servizi da rendere ai cittadini in maniera omogenea in tutto il territorio italiano. Poi, trovato questo accordo, che non è scontato, bisognerà attendere. Si prevede che i decreti che definiscono i Lep verranno adottati “solo successivamente o contestualmente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse finanziarie”. Per cui se dovessero mancare i fondi, non verrebbero emanati i decreti sui Lep e le funzioni non sarebbero trasferite di fatto alle Regioni.
Per ovviare all’inghippo, le Regioni più “indipendentiste” come il Veneto hanno già chiesto l’attribuzione delle (poche) materie che non sono subordinate alla definizione dei Lep. Ma c’è il piccolo problema che le altre Regioni – Puglia, Sardegna, Toscana e presto anche la Campania – continuano a mettere i bastoni tra le ruote del Governo. Si appellano alla Costituzione, come è loro diritto. E in più la raccolta firme per il referendum sembra procedere spedita. Insomma c’è un buon margine per sperare. L’Autonomia differenziata non è ancora diventata realtà.