È esplosa una bufera sull’Università di Sassari, dove il corso di teoria gender e queer del professore Federico Zappino è finito al centro di feroci polemiche. Petizioni e raccolte firme hanno polarizzato l’opinione pubblica: da una parte, chi invoca il bando delle “ideologie gender” dalle università; dall’altra, una difesa accorata della libertà di insegnamento sancita dall’articolo 33 della Costituzione.
Tutto è iniziato con un’interrogazione parlamentare presentata dal leghista Rossano Sasso, alimentando un acceso dibattito che ha coinvolto anche figure di rilievo internazionale come Judith Butler, teorica queer di fama mondiale. Butler ha espresso pieno sostegno al docente Zappino, sottolineando come questo attacco alla libertà accademica non sia solo una minaccia per un singolo corso, ma per il pluralismo democratico stesso.
Le radici della polemica
La richiesta di eliminare il corso queer non è nuova, ma ora le pressioni sono diventate insostenibili. Da una parte ci sono quasi 1.200 firme che chiedono l’abolizione dell’ideologia gender da ogni grado d’istruzione, dalle scuole fino all’università. Dall’altra, circa 3.000 intellettuali e accademici difendono la libertà di ricerca e insegnamento, principi fondamentali per qualsiasi democrazia che si rispetti.
In tutto questo, la reazione della politica ha mostrato il solito schema. Populismo e ignoranza vengono strumentalizzati per ottenere facili consensi, mentre argomenti complessi come l’identità di genere vengono ridotti a slogan vuoti e manipolati a fini elettorali. La società italiana, pur essendo in costante evoluzione, resta spesso intrappolata in logiche retrograde e non riesce ad affrontare in maniera adeguata temi che, in altri Paesi, sono ormai discussi con maturità.
L’Italia è pronta per il dibattito di genere?
La vicenda del corso di Sassari non è che l’ennesimo segnale di quanto il nostro Paese sia impreparato ad affrontare temi come la teoria gender, l’identità sessuale e il riconoscimento delle diversità. Mentre molte nazioni occidentali hanno già compiuto passi significativi verso l’inclusività e il riconoscimento delle identità non binarie, in Italia questo dibattito continua a essere avvelenato da disinformazione e pregiudizi.
Le scuole e le università dovrebbero essere luoghi di crescita e dibattito, in cui la conoscenza non teme il confronto. Invece, si assiste a un attacco sistematico alla libertà d’insegnamento e alla circolazione delle idee, spesso alimentato da una politica che preferisce cavalcare le paure piuttosto che affrontare la realtà con onestà intellettuale. In un Paese dove si fatica ancora a discutere serenamente di diritti civili, la questione delle identità di genere è vista come una minaccia anziché come un’opportunità di arricchimento culturale.
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La libertà accademica sotto attacco
Il caso Zappino è emblematico di una più ampia tendenza che vede la libertà accademica sempre più sotto attacco in Italia. Ogni volta che un tema “scomodo” viene sollevato in ambito accademico, la risposta è la repressione, piuttosto che il dialogo. E questo è sintomatico di una società che, nonostante gli inevitabili cambiamenti globali, rimane impantanata in un conservatorismo obsoleto.
Come affermano i docenti dell’Università di Sassari in difesa di Zappino, il vero pericolo è rappresentato da qualsiasi ingerenza esterna che limiti la libertà di chi, con competenza e professionalità, cerca di portare alla luce temi che, seppur difficili, sono cruciali per la crescita culturale e sociale del Paese.
Politica e ignoranza: un binomio pericoloso
Mentre in altri Paesi si assiste a un dialogo costruttivo sulle nuove frontiere dell’identità, in Italia la politica alimenta l’ignoranza. Gli attacchi a corsi come quello di Sassari non fanno che dimostrare quanto sia facile raccogliere consensi su una base di paura e incomprensione.
La questione non è tanto se l’Italia sia pronta o meno, ma quanto ancora vorrà rimandare un dibattito che, prima o poi, dovrà affrontare. Ignorare questi temi non farà altro che ritardare ulteriormente il nostro cammino verso una società più giusta e inclusiva.