Crollo mercato automobile: in tutta Europa drastico calo delle vendite di auto elettriche. Nel solo mese di agosto, in Europa occidentale la flessione delle vendite ha toccato quota -36%. Colpa dei prezzi troppo alti e della concorrenza delle auto cinesi, tanto che a breve i Paesi Ue andranno al voto per imporre nuovi dazi (pesanti) sui veicoli elettrici provenienti dal dragone. Ma nel frattempo le case automobilistiche del continente, da Stellantis a Volkswagen a Mercedes-Benz, sono costrette a correre ai ripari tagliando le stime di vendita per il futuro. E il rischio, a livello comunitario, è che progetti ambiziosi nell’ambito del Green Deal diventino alla fine irrealizzabili. Vediamo tutti i dettagli qui sotto.
Crollo mercato auto elettriche, cosa succede
È un mercato in caduta libera, quello delle auto elettriche. Nel mese di agosto 2024 in Europa occidentale sono stati venduti soltanto 125mila veicoli, il 36% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno passato. E se si guarda all’intera Unione Europea, il dato è ancora più allarmante: -43,9%. Una magra consolazione è il fatto che nel resto del mondo non se la stiano passando molto meglio. In Giappone, per esempio, Toyota è stata costretta a ridurre del 30% il suo obiettivo di produzione globale di veicoli elettrici per l’anno 2026. Mentre da noi, il colosso Stellantis ha ridotto le stime di vendita di 200mila unità.
E il crollo delle auto elettriche complica anche i piani comunitari sul lungo termine. Progetti ambiziosi nell’ambito del Green Deal, adesso, rischiano di saltare del tutto o quasi. In particolare, appare ormai irrealizzabile lo stop alla vendita di auto a diesel e a benzina entro il 2035. Ma quali sono, esattamente, le cause di questa caduta libera?
Le cause del crollo
La prima causa del crollo del mercato elettrico sono i prezzi troppo alti. I veicoli green hanno costi ancora estremamente elevati – in media il 20% in più – rispetto alle tradizionali auto a combustione. Servirebbero quindi incentivi specifici da parte del Governo, ma quelli adottati negli ultimi anni si sono via via esauriti, e non sono stati rinnovati in tempo utile a evitare un crollo. Oltre a questo, la concorrenza dei mercati esterni all’Unione Europea è forte e spesso anche sleale.
Preoccupa in particolare il mercato cinese: da oltre un decennio la Cina ha implementato una politica di incentivi molto aggressiva, con sostegni alle auto elettriche anche di tipo non finanziario, come l’introduzione di infrastrutture di ricarica e politiche di immatricolazione stringenti per le auto a combustione. Per questo, è tornata in voga l’idea di introdurre nuovi dazi sui veicoli elettrici importati dalla Cina. A luglio scorso la Commissione europea ha proposto tariffe provvisorie fino al 36,3% nei confronti di alcuni particolari produttori cinesi: una risposta necessaria dopo i maxi sussidi elargiti di recente da Pechino. Se queste misure verranno confermate – il voto finale dei Paesi Ue è previsto per il 4 ottobre – si aggiungerebbero ai dazi del 10% a cui erano già soggetti gli esportatori dalla Cina. Sarebbe un primo passo verso il contenimento dei danni al settore delle auto elettriche. Ma non è detto che basti.
Le case produttrici corrono ai ripari
Intanto, i principali produttori di auto in Europa corrono ai ripari. Stellantis aveva inizialmente previsto un investimento-monstre sull’elettrico pari a 50 miliardi entro il 2030. Ma l’andamento del mercato sta costringendo il colosso delle auto a una virata netta, con una riduzione delle stime di vendita di 200mila unità. Lo stesso ha fatto Volkswagen (500mila vendite in meno del previsto), che ora mette in guardia sul rischio di chiudere 2 stabilimenti in territorio tedesco. E anche Mercedes-Benz ha dovuto tagliare le stime per il 2024 a causa “del rapido deterioramento del mercato cinese”. C’è insomma una corsa in atto, nel settore automotive, per il limitare il più possibile i danni economici. La transizione verso il mercato delle auto green si sta rivelando più complicata del previsto. E senza interventi strutturali dei singoli Governi, ma anche politiche europee condivise, le conseguenze peggiori rischiano di abbattersi sui lavoratori del settore.
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