Le dimissioni in bianco sono state per lungo tempo considerate una pratica illegale. Con la legge n.188/2007 prima e la Legge Fornero n. 92 del 2012 poi, le dimissioni in bianco furono messe all’angolo, grazie a disposizioni di legge chiare, precise e severe riguardanti i processi di dimissioni e di licenziamento.
Con il Collegato Lavoro, poi, le dimissioni in bianco invece sono state parzialmente ritenute “legali” ma solo in casi estremi (e comunque con modalità di certo totalmente differenti dalla pura firma apposta dal lavoratore sul foglio in bianco al momento dell’assunzione).
Dimissioni in bianco: come funzionano?
Il licenziamento è indubbiamente uno strumento che espone il datore di lavoro a potenziali rischi. Primo fra tutti, l’impugnazione da parte del lavoratore. Nel caso in cui si passi alle vie legali, infatti, non di rado accade che il giudice propenda per risolvere la controversia in favore del lavoratore, che solitamente è la parte debole maggiormente tutelata dalle normative.
Una sentenza in favore del lavoratore potrebbe costringere il datore a riassumere il lavoratore, oltre al risarcimento con le mensilità ingiustamente non percepite dal dipendente nei mesi di licenziamento.
Per evitare queste problematiche, in passato, molto spesso i datori di lavoro hanno messo in atto pratiche scorrette come quelle delle dimissioni in bianco. In sostanza, al lavoratore veniva fatto firmare, al momento dell’assunzione, un foglio in bianco, su cui successivamente (ed eventualmente) sarebbe stata scritta la sua lettera di dimissioni. In questo modo, il datore di lavoro si sarebbe evitato il licenziamento, dal momento che a dimettersi era il dipendente.
Ovviamente, la firma del foglio, rappresentava spesso un presupposto imprescindibile per poter essere assunti, così per lungo tempo i dipendenti, soprattutto quelli in stato di necessità, si ritrovavano a piegarsi alla volontà del datore di lavoro e a firmare il foglio pur di conquistare il posto di lavoro.
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Per tali motivi, nel tempo, la legge è intervenuta prevedendo modalità precise e molto restrittive sul licenziamento e sulle dimissioni, arrivando addirittura a punire penalmente i datori di lavoro che avessero messo in atto la scorretta pratica delle dimissioni in bianco. Tale pratica è considerata a tutti gli effetti un’estorsione.
Tuttavia, non di rado accade comunque che a fronte di datori di lavoro che invece improntano il rapporto di lavoro sulla buona fede reciproca, molti dipendenti per contro cerchino furbi escamotage, come quello di comportamenti sistematici e ripetuti volti all’obiettivo di farsi licenziare. Si tratta dei furbetti della Naspi.
I comportamenti scorretti del dipendente
Accade non di rado che alcuni lavoratori mettano in atto comportamenti scorretti col preciso obiettivo di portare il datore di lavoro a licenziarli, e poter quindi stare a casa (o lavorare in nero altrove) e contemporaneamente fruire della Naspi. Queste persone sono state ribattezzate con l’epiteto di “furbetti della Naspi“.
Se le dimissioni in bianco rappresentano infatti la pratica scorretta messa in atto dal datore, il comportamento messo in atto da alcuni lavoratori altro non è che l’immagine speculare delle dimissioni in bianco.
Per questo motivo, il legislatore ha comunque deciso di tutelare, in parte, anche il datore di lavoro. Lo ha fatto introducendo la possibilità di chiudere il rapporto di lavoro senza licenziare il lavoratore, in alcuni casi specifici. Come?
Le dimissioni in bianco dopo il 2010
In sostanza, il lavoratore che non si presenti a lavoro per oltre 15 giorni consecutivi, senza darne giustificato motivo, per legge ha automaticamente rassegnato le sue dimissioni. Questo è quanto previsto dal Collegato Lavoro del 2010.
Si tratta di una dimissione in bianco in formato “soft”, ma pur sempre una dimissione che avviene senza che vi sia il reale input da parte del lavoratore.
Stando così le cose, la conseguenza è semplice: il datore di lavoro non deve licenziarlo, quindi per lui non vi saranno conseguenze legali. Per contro, il lavoratore avrà rassegnato le sue dimissioni, e dunque non avrà diritto alla Naspi.