A ottobre 2024, il tasso di disoccupazione in Italia è sceso a quota 5,8%: il livello più basso fatto registrare in quasi 20 anni. Eppure l’istantanea scattata dall’Istat rischia di essere fuorviante. Perché nello stesso periodo di riferimento, a salire non è stato solo il numero degli occupati ma anche quello degli inattivi, vale a dire le “persone che non fanno parte delle forze di lavoro, ovvero quelle non classificate come occupate o in cerca di occupazione”. E preoccupa ancora di più il fatto che la percentuale di inattivi sia cresciuta soprattutto tra le donne e gli under 35. Il motore del Paese, in sostanza, sembra aver rinunciato a lavorare o a cercare lavoro attivamente. E questo è un segnale allarmante che non può essere ignorato.
L’Italia nel 2024, tra inattività e disoccupazione
Il 2024 è ormai agli sgoccioli e, come ogni anno, l’Istat ci regala un’istantanea della situazione lavorativa nel nostro Paese. Il tasso di disoccupazione ha avuto a ottobre una flessione di 0,2 punti percentuali su base mensile ed è sceso alla quota record del 5,8%. È calata anche la disoccupazione giovanile, ferma al 17,7% (-1,1 punti), e fin qui tutto bene. Ma a preoccupare sono altri numeri. Secondo l’Istituto Nazionale di Statistica, il dato degli inattivi in Italia è cresciuto nello stesso periodo dello 0,2% – 28 mila persone in termini assoluti – tra le donne e gli under 35.Ci troviamo quindi di fronte a una contraddizione estrema, che evidenzia un problema di fondo: tantissimi giovani, scoraggiati dalla mancanza di opportunità, smettono di cercare lavoro attivamente. L’apparente miglioramento del tasso di disoccupazione, perciò, non rappresenta necessariamente un reale progresso, ma piuttosto uno spostamento delle dinamiche occupazionali verso l’inattività. In un mercato del lavoro che richiede sempre più competenze specialistiche, i giovani italiani continuano a scontrarsi con barriere d’ingresso insormontabili, come i contratti precari e la bassa competitività dei salari. E le offerte lavorative, quando esistono, si concentrano in gran parte su settori con limitate prospettive di crescita, costringendo a scegliere tra la fuga all’estero e l’accettazione di condizioni lavorative al limite dell’indecenza.
Altro campanello d’allarme, come già accennato, è la scarsa partecipazione delle donne nel mercato del lavoro in Italia. Il dato rimane tra i più bassi d’Europa e l’aumento degli inattivi tra la popolazione femminile suggerisce che il progresso degli ultimi anni verso la parità di genere sta rallentando. Non bastano interventi-spot del Governo come il cosiddetto bonus mamme, o il bonus asili nido, per incentivare l’occupazione tra le donne. Perché a sopravvivere sono problemi endemici come la scarsità di servizi adeguati all’infanzia e una cultura lavorativa poco inclusiva, che rendono difficile (se non impossibile) per le donne conciliare lavoro e famiglia.
Una crescita economica stagnante
A tutto ciò si aggiunge l’elemento critico rappresentato dal contesto economico generale. Nel terzo trimestre del 2024, il Pil italiano è rimasto stagnante, con una crescita nulla rispetto al trimestre precedente e un misero +0,4% rispetto all’anno passato. Inoltre, sul versante commerciale, gli investimenti fissi lordi sono diminuiti dell’1,2%, mentre l’export ha fatto registrare un calo preoccupante dello 0,9%. E alla vigilia dell’insediamento di Trump in America, che ha già annunciato battaglia (anche con l’Europa) in tema di dazi, il futuro si fa se possibile ancora più incerto. È evidente, in sostanza, che al momento l’economia italiana non è in grado di generare il dinamismo necessario per creare un circolo virtuoso di crescita costante, con un commercio florido e la creazione di posti di lavoro sostenibili e ben retribuiti. E la generale incertezza geopolitica, dalla guerra in Ucraina ai conflitti in corso in medio-oriente, non fa che aggravare il quadro.
La sfida della precarietà e il futuro incerto
Ci affacciamo quindi su un futuro incerto. Se i dati sulla disoccupazione in calo generano ottimismo, questo è ampiamente compensato (in negativo) dall’elevata precarietà che continua a caratterizzare il nostro mercato del lavoro. Sono ancora troppi i lavoratori a termine, troppo basse le paghe in relazione a un costo della vita che continua a salire. E allora è comprensibile che i giovani e le donne, in particolare, preferiscano l’inattività e qualche sussidio temporaneo a un impiego che spesso non permette loro di arrivare a fine mese.
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La responsabilità di imprimere una svolta resta dunque nelle mani del Governo, delle imprese e della società civile tutta. Occorre investire di più sull’istruzione e sulla formazione professionale, per ridurre il disallineamento tra competenze richieste e offerte di lavoro. Occorre promuovere nuove politiche per l’occupazione giovanile, come incentivi fiscali per le aziende che assumono giovani a tempo indeterminato. E infine serve più supporto per le donne, un potenziamento dei servizi di assistenza all’infanzia e la promozione di una cultura aziendale inclusiva. La strada da percorrere, come si vede, è ancora lunga.