Incentivi auto, arriva il piano del Governo
Il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha appena presentato un piano pluriennale di incentivi auto. Il fondo “automotive” cui il piano attingerà conta 750 milioni per l’anno 2025, poi 1 miliardo all’anno, dal 2026 al 2030. Si andranno ad aiutare, spiega il rappresentante di Governo, i cittadini con minori possibilità economiche, ma anche chi rottama auto vecchie e inquinanti. Ci saranno poi bonus maggiori per le automobili a basse emissioni. E infine, un colpo a sorpresa. Si inserisce nel pacchetto anche un insieme di incentivi per “favorire la produzione locale”.
In sostanza, l’idea – di stampo molto patriottico ma non si sa quanto pratico – è andare a incentivare l’immatricolazione di veicoli che abbiano all’interno elementi di componentistica europea, e ancora meglio se italiani. Si punta così a limitare la circolazione di auto con pezzi prodotti fuori dall’Unione (quindi soprattutto in Cina) anche se queste stesse auto vengono assemblate in stabilimenti situati sul nostro territorio. Per farla breve, d’ora in poi le case automobilistiche dovranno dimostrare che almeno il 40% dei pezzi che compongono un modello d’auto viene prodotto in Europa, altrimenti addio sussidi statali. Solo che rivoluzionare una filiera del genere, dove buona parte dei pezzi provengono dal resto del mondo (perché costano meno) è una bella impresa. E pure deleteria, esattamente per quelle aziende italiane che il Governo dice adesso di voler proteggere.
Il fallimento dell’Ecobonus
Il cambio di strategia, che punta su incentivi alla componentistica europea, è legato soprattutto al fallimento dell’Ecobonus. Lo ha ammesso lo stesso Ministro Urso: “Per quanto il mercato abbia avuto un impulso positivo dall’introduzione dell’ecobonus, non si è verificato quell’incremento atteso di produzione in Italia. Al contrario, purtroppo, Stellantis esattamente un mese fa ha annunciato lo stop delle carrozzerie a Mirafiori dal 15 luglio fino al 25 agosto, con il ricorso a nuova cassa integrazione (fino al 4 agosto), così come 5 giornate di cassa tra agosto e settembre sono state annunciate anche a Pomigliano per carenza di ordinativi. Il piano non ha corrisposto all’aumento che noi ci aspettavamo, che avevamo concordato, della produzione in Italia”.
Quindi si è reso necessario un cambio di rotta. A causa del mancato aumento della produzione automotive, Urso ha annunciato la scelta: “è nostra intenzione cambiare il piano incentivi per i prossimi anni”. Ricordando anche che “se non avessimo raggiunto l’obiettivo di aumentare la produzione Italia con questo piano incentivi, avremmo spostato le risorse, o parte di esse, direttamente sul fronte dell’offerta perché, evidentemente, si deve agire più sul fronte dell’offerta che su quello della domanda per quanto riguarda dei livelli produttivi del nostro paese”. Da qui l’idea di incentivare le aziende che offrono auto con componentistica prevalentemente “made in Europa”.
La nuova idea: privilegiare le componenti Ue
Arriviamo perciò alla novità. Come annuncia il capo del Mimit, si punta su “un meccanismo che privilegi le produzioni con un alto contenuto di componentistica europea, garantendo così la sostenibilità delle produzioni e incentivando la domanda di veicoli assemblati in Italia o in Europa con componenti prodotte localmente”. In più, si cercheranno di introdurre nel mondo automotive “parametri innovativi, come l’impronta ecologica, la cybersecurity e il rispetto dei diritti fondamentali della forza lavoro”.
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Il nuovo sistema di incentivi va a sostituire quello che era stato introdotto, a suo tempo, dal Governo di Mario Monti. Ma non ci si inventa nulla, in realtà. Perché il modello di riferimento è la vicina Francia, dove per arginare la competizione cinese si è introdotto un sistema analogo, che penalizza i veicoli inquinanti non solo sulla base delle emissioni, ma anche in base al loro intero ciclo vita.
Per dare il via libera a questo modello italiano pro-Europa, arriverà a settembre un decreto su misura del Governo Meloni. L’azzardo però è evidente. Da un lato bisogna evitare di infastidire la Commissione Europea, non andando a contrastare la normativa in tema di concorrenza e le regole sugli aiuti di Stato. Ma dall’altra parte è necessario non perdere del tutto i partner cinesi. Che rischiano di rivolgersi ad altri mercati dopo il colpo dei dazi europei e degli incentivi automotive italiani.
Le mosse anti-Cina e cosa fa Meloni
In questo quadro delicato si inserisce la recente visita cinese di Giorgia Meloni. La Presidente del Consiglio si è recata a casa del Dragone, per stringere accordi anche in chiave-automobile. È vero che si cerca di incentivare la produzione di auto europee e italiane, ma non si vuole ovviamente perdere il mercato orientale. Il ministro Urso spiega a questo proposito che “ad oggi, sono stati sottoscritti Nda (accordi di riservatezza, ndr) e MoU tra il Mimit e tre case automobilistiche cinesi. In agosto e settembre sono previsti ulteriori incontri con imprese cinesi dell’automotive”. E ancora, “le strutture tecniche del Mimit hanno incontrato i rappresentanti di diverse case automobilistiche cinesi per avviare un dialogo relativo a ipotesi di cooperazione industriale finalizzata alla produzione di autoveicoli, veicoli commerciali e bus in Italia”.
Non è ben chiaro come farà il Governo a convincere i partner cinesi. Anche perché l’Europa ha appena introdotto dazi (pesanti) contro le vetture a batteria provenienti dalla Cina. L’idea generale sarebbe costringere Pechino a spostare intere produzioni nel nostro continente, e ancora meglio se in Italia. Così da evitare di avere da noi semplici fabbriche “cacciavite”, dove si assemblano i pezzi che arrivano già fatti dall’Asia. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo tutto il resto. Meloni dovrà sottostare alle decisioni europee, innanzitutto. Poi potrà pensare ad accordi coi partner orientali. Sempre che questi si lascino abbindolare.