Oggi per la rubrica Sfruttamento del lavoro, vi raccontiamo la storia di una coppia di giovani sposi che da sempre ha fatto di tutto pur di potere lavorare. Se è vero che “il lavoro nobilita l’uomo” Marco e Sofia (questi i loro nomi di fantasia) non si sono mai tirati indietro e hanno sempre lavorato duramente.
“16 anni di nozze, passati a lavorare per 25 euro al giorno”
Sofia fa le sue riflessioni all’alba del 16esimo anno di matrimonio, 37 anni lui, 36 lei, si sono sposati che erano poco più che dei ragazzini, lei già in dolce attesa.
“Il primo lavoro di mio marito è stato magazziniere in un negozio di edilizia. L’orario lavorativo? 8-13; 14-19 per appena 25 euro al giorno”. Un lavoro già di per sé fuori da qualsiasi contratto di lavoro: 10 ore al giorno, contro ogni imposizione dei sindacati, che considera 8 ore lavorative l’unico monte di ore di lavoro accettabile.
Oltretutto, a 44 km da casa, “all’andata e al ritorno”. “Per risparmiare, pranzava dalla mamma che si trovava a metà strada“. Come se non bastasse, al danno si aggiungeva la beffa: Marco aveva solo un contratto part-time pur facendo un full time e anzi, ben oltre.
Sfruttamento del lavoro: “Senza paga e anche denunciato”
Il suo secondo lavoro, ci racconta Sofia, è stato fare “l’autista per una ditta che consegnava giornali e riviste nella provincia di RC e CZ. Orario lavorativo dalle 2:30 del mattino alle 13”. Ma questo, dice Sofia, era “quando andava bene“, sennò le ore erano anche 13, o 14.
Le condizioni lavorative erano scarse: viaggiava su mezzi non assicurati, a volte addirittura posti sotto sequestro, il tutto per una paga che Sofia definisce “inesistente”: 1000 euro al mese.
1000 euro al mese ma fino a un certo punto, perché è arrivato il giorno in cui lo stipendio non è arrivato più, e alle richieste di Marco il datore di lavoro ha alzato le spalle, invitandolo ad accettare di essere pagato quando avrebbe potuto, o di aprire la porta e andarsene.
Marco inizia a ricevere multe e denunce a suo carico, a fronte del fatto che i mezzi su cui viaggiava erano (a sua insaputa) mezzi non assicurati o sequestrati. A quel punto il ragazzo, stanco, lo denuncia alla Guardia di Finanza.
Marco ottiene una sentenza a suo favore: il datore viene condannato alla corresponsione degli arretrati ed al versamento di 5 anni di contributi. Contributi che il suo datore di lavoro, però, non gli ha mai versato.
“Il datore incassava i nostri assegni familiari”
In fatto di datori di lavoro, Marco non è molto fortunato. L’ultimo lavoro, paga bassa a parte, è sfociato in una situazione ai limiti dell’assurdità.
“Gli assegni familiari su busta paga se li incassava lui, (ndr il datore di lavoro). Come lo abbiamo scoperto? Perché io in quell’anno avevo fatto una stagione di raccolta ulivi e avevo richiesto gli assegni familiari sulla disoccupazione agricola. Quando l’INPS mi chiese l’autocertificazione di mio marito da parte del suo datore che attestasse non percepiva gli assegni per i bambini, lui temporeggiava all’infinito e allora ci siamo insospettiti”.
“Io, lavoratrice in nero”
Anche Sofia si è sempre data fa fare: “Passiamo a me, i miei lavori sono stati come bracciante agricolo per poche stagioni, e a singhiozzi, purtroppo dove abito io, non c’è molto in agricoltura. Ho lavorato una stagione estiva in un locale noto della zona, orario lavorativo 7/19; 21/03. La paga era di 35 euro ogni 8 ore”. Non male, forse, in questo caso, rispetto a tante situazioni esistenti, ma un grosso problema: niente contratto.
Sofia e Marco erano percettori RdC, e confessano che il reddito li aveva “sollevati” e anche grazie all’assegno unico e al fatto che viene versato “direttamente ai genitori”, avevano potuto tirare un respiro di sollievo.
Poi chiude lanciando un’accusa: “Ne abbiamo sentite troppe sul reddito di cittadinanza, e a parlare e puntare il dito erano proprio i datori di lavoro, che fanno affari sulle nostre spalle”.
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