Una sentenza storica della Corte di Cassazione mette nei guai le aziende italiane. È stato infatti concesso il risarcimento a un dipendente che si era vista negare la richiesta di una pausa bagno. Si trattava di un operaio, impiegato presso un’azienda automobilista, che per protesta aveva poi citato in giudizio il suo datore di lavoro. E adesso la sensazione è che i diritti dei lavoratori, anche quelli fisiologici, verranno considerati con maggiore serietà all’interno nostro Paese. Ecco di seguito tutti i dettagli.
No alla pausa bagno, il caso dell’operaio risarcito
Si era visto negare la richiesta di espletare, sul lavoro, un impellente bisogno fisico. E così un operaio dipendente ha fatto causa al suo datore di lavoro, pretendendo un risarcimento economico adeguato. La notizia, ora, è che la Corte di Cassazione ha concesso al lavoratore in questione quanto richiesto, tramite la recente sentenza 12504/2025. Con la quale è stato chiuso un percorso legale nato da un fatto al limite del grottesco.
L’operaio che ha ottenuto il risarcimento aveva protestato per l’impossibilità di orinare, usufruendo dei servizi igienici durante l’orario di lavoro. In sostanza, l’uomo non era stato autorizzato a recarsi in bagno dal suo superiore, e si era visto negare così uno dei diritti più basilari della persona. Fin dal primo grado di giudizio, erano emersi dettagli sconcertanti su quanto accaduto. Ad esempio, il fatto che a nulla fosse valso il rispetto delle regole aziendali osservato dall’operaio. Che come da prassi aveva ripetutamente, ma invano, azionato il dispositivo di chiamata di emergenza per potersi allontanare dalla postazione di lavoro.A quel punto, impossibilitato a rimandare oltre, il lavoratore in questione aveva deciso di correre verso il bagno “non riuscendo a evitare di minzionarsi nei pantaloni”, come si legge nella sentenza fornita dalla Corte di Cassazione. E a seguire, per l’imbarazzo, l’operaio aveva giustamente chiesto di cambiarsi al più presto, in modo tale da poter tornare al lavoro senza spiacevoli imbarazzi. Ma anche in quel caso il permesso non gli era stato concesso. Solo successivamente, al malcapitato era stato permesso il cambio di indumenti, sebbene avvenuto di fronte a tutti i colleghi (donne incluse) e senza alcuna privacy.
Cosa ha stabilito la Corte di Cassazione
Questo episodio vergognoso ha quindi attraversato i vari gradi di giudizio. Fino a giungere all’attenzione della Corte di Cassazione. Come anticipato, la Corte ha confermato quanto stabilito nei primi due gradi di giudizio dai giudici. Stabilendo il risarcimento dell’operaio coinvolto nel fattaccio. Stando alla sentenza, nel caso sopra descritto sarebbe avvenuta una violazione dell’art. 2087 del Codice Civile che afferma quanto segue: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
L’azienda coinvolta, pur nel torto evidente, ha tentato di difendersi in tutti i modi. Ma i giudici della Corte hanno definitivamente stabilito il risarcimento economico pari a 5mila euro, insieme al pagamento delle spese della lite, e un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
Scarica la nostra app e risparmia con i bonus attivi in Italia:
Cosa cambia ora per le aziende
Va da sé che, dopo il caso dell’operaio a cui hanno negato la pausa bagno, ora qualsiasi azienda italiana potrebbe essere portata in tribunale con risultati simili. Si tratta di una vittoria per l’integrità e la decenza, e di uno schiaffo deciso a chi non rispetta le basilari necessità dei lavoratori. La giustizia si è dunque mossa nel migliore dei modi. E si spera che in futuro non siano necessarie altre sentenze del genere. Perché il mondo del lavoro in Italia ha già enormi problemi strutturali da risolvere. Questo, a nostro parere, è invece un problema che non sarebbe neanche dovuto emergere in un Paese civile.