Dal reddito alla sanità, si allarga la voragine Nord-Sud
L’ultima analisi dell’Istituto Demoskopika traccia un quadro complicato. Si parla del divario Nord-Sud nei 10 anni che vanno dal 2013 al 2023, con un indice creato ad hoc sulla base di alcuni settori-chiave, economici e sociali. Nel periodo di riferimento, si legge, l’indice in questione ha raggiunto il massimo valore l’anno scorso (100 punti), mentre nel 2013 si attestava sui 92,5 punti. Tradotto: la forbice tra Nord e Sud si è allargata parecchio, e la colpa è soprattutto di fattori in caduta libera come il reddito, la sanità, la speranza di vita e la povertà. Pochissime purtroppo le note positive.
Ecco i settori presi in analisi dall’indagine:
- Disoccupazione
- Occupazione
- Reddito familiare
- Speranza di vita
- Sanità
- Ricchezza
- Povertà
La scelta di questi settori non è stata casuale, ma ben ponderata. Ci si è basati su fattori come la reperibilità della serie storica del dato, l’ufficialità o autorevolezza delle fonti, e anche la rilevanza socio-economica dell’indicatore. Quindi il quadro che emerge può essere considerato attendibile. Vediamo punto per punto di cosa si tratta.
La disoccupazione e il reddito familiare
Prima nota dolente: la disoccupazione. Il Mezzogiorno presenta tassi di disoccupazione molto più alti rispetto al Nord. Nel 2023, la disoccupazione al Nord era stimata al 4,6%, contro il 14,0% del Sud Italia. Certo, è vero che in valori percentuali il divario sembra essersi ridotto, dal 2013 ad oggi: prima 11,5 punti percentuali di differenza sulla disoccupazione, oggi 9,4 punti. Ma quello che conta, e che preoccupa parecchio, sono piuttosto i valori in termini assoluti.
Nel Sud e nelle isole, nel 2023 i disoccupati erano il doppio di quelli del settentrione. Cioè un milione da una parte, contro 592mila persone in cerca di occupazione dall’altra. La differenza si attesta quindi sui 433mila individui: che inevitabilmente in gran parte saranno costretti a emigrare (al nord o all’estero) per trovare un qualche spiraglio di occupazione futura.
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E anche sul fronte del reddito disponibile familiare, la forbice Nord-Sud è allarmante. Si è passati da una differenza reddituale di 12.969 euro a famiglia, nel 2013, a un distacco di 16.916 euro nel 2023 (+30,4%). Ciò vuol dire che al Nord le famiglie hanno in media un potere d’acquisto ben maggiore rispetto a quelle che vivono nel Mezzogiorno. Aggiungiamoci l’inflazione, e lo spettro dell’autonomia differenziata che dovrebbe allargare la forbice ancora e ancora. E il piatto del disastro è servito.
Speranza di vita e sanità, Nord contro Sud
Un altro fattore preso in esame dall’Istituto Demoskopika è la speranza di vita. Tra Sud e Nord, anche qui, c’è parecchia disparità. La speranza di vita – cioè il numero di anni che una persona può aspettarsi di vivere – nel 2023 era di 83,6 anni nel Nord e 82,1 anni nel Sud e isole (1,6 anni di differenza). Mentre 10 anni prima, nel 2013, il distacco era più ridotto: 82,7 anni al Nord e 81,6 anni nel Mezzogiorno (quindi 1,1 anni). Perciò nel giro di una decade il sud ha perso circa cinque mesi di longevità rispetto al settentrione d’Italia. E in parte, ovviamente, c’entra la situazione sanitaria fuori controllo.
Basta fare riferimento ai livelli essenziali di erogazione dei servizi sanitari (Lea). La qualità della sanità è nettamente superiore al Nord, e il divario non ha fatto altro che crescere negli ultimi anni. Se nel 2017 l’indice segnava un distacco di 57,2 punti, nel 2022 i punti erano già 68,3. In pratica aumenta la disparità nell’accesso ai servizi sanitari essenziali (ma anche la qualità dei servizi stessi). Motivo per cui è ormai prassi recarsi al Nord per operazioni delicate o ricoveri che al Sud non sarebbero possibili.
Gli indici di ricchezza e povertà
Gli ultimi dati poco confortanti riguardano ricchezza e povertà. Il biennio 2022-2023 è stato il peggiore. Al Nord, il prodotto interno lordo pro-capite è passato da 32.919 euro nel 2013 a 36.904 euro nel 2023, mentre al Sud (nello stesso periodo di riferimento) si è passati da 17.980 euro a 19.821 euro. Quindi il divario si è allargato, ancora una volta: adesso supera i 17 mila euro.
Quanto all’indice di povertà, nel 2023 le persone a rischio povertà nel Mezzogiorno erano 4 milioni in più rispetto al Nord. In particolare, 6,7 milioni di quasi-poveri al Sud a fronte dei poco più di 2,7 milioni nel settentrione. E anche il tasso di povertà parla chiaro: nel 2023 al Nord era al 9,9%, contro il 33,7% del Sud. Una differenza di 23,8 punti percentuali. Che erano solo 22,9 punti nel lontano 2013.
L’unico barlume: i tassi di occupazione
Ma se una nota positiva c’è, in tutto questo, sta nella distanza Nord-Sud a livello di tassi di occupazione. Nel 2013 eravamo a un divario del 22,4%, che è sceso a 21,2% nel 2023. Stessa storia per il tasso di disoccupazione, con un passaggio dall’11,5 % del 2013 al 9,4% del 2023. Insomma la percentuale di occupazione aumenta in modo congruo tanto al Nord quanto nel Mezzogiorno. Tanto che nel 2023, l’occupazione al Nord si è attesta al 69,4%, e al Sud ha fatto registrare un 48,2%. Quindi un divario di 21,2 punti percentuali, rispetto ai 22,4 punti percentuali dell’anno 2013.
Ma ancora una volta, è l’analisi in valori assoluti a darci un metro giusto della situazione. Numeri alla mano, scopriamo che nel 2023, nel Mezzogiorno, erano 5,8 milioni gli occupati in meno rispetto al Nord. Quindi i tassi raccontano una verità a metà. La realtà dei fatti è molto più nera.
Cosa concludere
Viene da concludere che c’è poco da stare sereni. E non siamo solo noi a dirlo, ma anche chi da anni è di questo mestiere. Come il presidente di Demoskopika, Raffaele Rio, che dopo la diffusione di questi numeri allarmanti, chiude il cerchio con un appello sentito: “Costruire un’autonomia consapevole piuttosto che differenziata o, peggio ancora, gridata. Altrimenti c’è il concreto rischio di una guerra civile psicologica e dell’acuirsi di un devastante scontro ideologico tra Nord e Mezzogiorno”.
Invece l’autonomia differenziata (e inconsapevole), voluta fortemente dal Governo, va veloce verso un’attuazione sicura. Col rischio che l’appello di Rio diventi presto, molto presto, quello di una triste Cassandra inascoltata.