Un quadro preoccupate emerge dagli ultimi dati Istat, così come dalle rilevazioni Acli basate su quasi 800mila dichiarazioni dei redditi presentate. I lavoratori che in Italia sono sotto la soglia di povertà sono aumentati del 55%, mentre la povertà lavorativa colpisce i giovani con meno di 30 anni quattro volte di più rispetto agli ultracinquantenni. In ambito salute, poi, spicca la beffa delle detrazioni a favore dei più ricchi. I contribuenti con redditi più bassi, infatti, beneficiano in Italia solo dell’11% delle detrazioni sanitarie complessive. Una miseria. E una misera figura, ancora una volta, per chi è chiamato a governarci. Ecco qui sotto i dettagli.
Salute, la beffa delle detrazioni per i più ricchi
Iniziamo dalla beffa in ambito salute. Secondo l’Osservatorio dei conti pubblici italiani dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, i contribuenti con redditi più bassi (fino a 15.000 euro annui) – che rappresentano il 44% del totale – beneficiano in Italia soltanto dell’11% delle detrazioni sanitarie complessive. La media, per queste categorie, è di appena 196 euro di spese sostenute per dichiarazione.
Invece i contribuenti con redditi alti (oltre 120mila euro annui) sembrano usufruire dell’85% delle detrazioni totali. Uno squilibrio scandaloso, che secondo l’Osservatorio “riflette non solo la disparità economica, ma anche un accesso problematico ai benefici fiscali legati alla salute”. E non è tutto.Perché i dati sopracitati, purtroppo, vengono confermati anche dall’analisi delle Acli. I lavoratori del 1° quintile di reddito portano, infatti, detraggono in media 749 euro l’anno per spese sanitarie. Mentre i lavoratori più ricchi (5° quintile) detraggono quasi il doppio, cioè 1.369 euro. E questo avviene, come notano gli autori dell’indagine, anche se “la salute non è un costo ‘elastico’, ossia dipendente dalle risorse del consumatore, ma una spesa che secondo i casi della vita riguarda in maniera indistinta tanto i lavoratori a basso reddito quanto quelli con retribuzioni più alte”.
È evidente, dunque, come la ‘capienza’ delle dichiarazioni – e la capacità di anticipare le spese – incida più della povertà delle categorie fragili sulla possibilità di curarsi. Chi ha i soldi, può curarsi e spendere meno. Chi invece è povero, paradossalmente, quando è in grado di curarsi finisce per spendere di più rispetto ai suoi concittadini ricchi.
La crescita dei lavoratori sotto la soglia di povertà
Il quadro si aggrava, poi, se ci riferiamo alle analisi Istat sulla povertà lavorativa. Secondo l’Istituto, i lavoratori che in Italia sono sotto la soglia di povertà (pur avendo un reddito mensile) tra il 2014 e il 2024 sono aumentati del 55%. E analizzando le quasi 800mila dichiarazioni dei redditi presentate dai propri Caf, le Acli hanno inoltre rilevato che la povertà lavorativa colpisce i giovani con meno di 30 anni quattro volte di più rispetto agli ultracinquantenni.
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Come se non bastasse, tra le donne l’incidenza è dell’11,6% (contro il 5,3% degli uomini). E anche le disuguaglianze territoriali sono enormi: tra Basilicata e Lombardia, ad esempio, è stata rilevata una differenza di tre a uno in termini di probabilità di firmare un contratto a bassa retribuzione.
I parametri scelti per l’indagine
Il parametro principale, adottato dagli autori dell’indagine per definire il lavoro povero, è quello di una retribuzione mensile inferiore a 726 euro al mese. Che corrispondono a 8.718 euro lordi annui. Una cifra che non è ovviamente abbastanza per mantenersi, soprattutto nelle grandi città. Motivo per cui sono moltissimi i lavoratori costretti ad arrotondare con un secondo impiego (non sempre dichiarato, tra l’altro).
Notevoli sono le differenze geografiche, non solo tra regioni, ma anche tra grandi metropoli e piccoli centri, soprattutto interni. Vi sono infatti circa 4.000 euro di differenza tra i redditi medi da lavoro nell’Italia dei ‘poli’ – cioè dei Comuni che hanno una dotazione di servizi essenziali, capace di attrarre flussi di popolazione dalle altre aree – e i Comuni interni. Tra una lavoratrice che risiede in uno di questi poli, ad esempio, e una che risiede in un’area interna, la differenza di retribuzione può arrivare anche a 14mila euro.
Il disastro ignorato dal Governo
Ci troviamo quindi di fronte a un disastro. Esattamente opposto alle grandi dichiarazioni, anche recenti, fatte dal nostro Governo. Da un lato vediamo detrazioni sanitarie ‘regalate’ a chi ha più soldi, mentre i più poveri finiscono nel dimenticatoio. Dall’altro, in senso più generale, il lavoro povero aumenta e le disparità di genere, ma anche territoriali, si fanno endemiche. In più, come notifica in conclusione l’Istat, “le retribuzioni contrattuali reali di marzo 2025 sono ancora inferiori di circa l’otto per cento rispetto a quelle di gennaio 2021”. Di ottimo c’è poco, dunque. Di pessimo molto su cui ragionare.