Oggi per la nostra rubrica “Sfruttamento del lavoro” vogliamo raccontarvi la storia di Ludovica (ndr nome di fantasia).
Ludovica nella sua vita si è arrangiata come ha potuto, dagli stage ai corsi di sartoria, ma, come dice lei stessa “se non hai una laurea in mano, allora ciccia”. Nessuno ti prende a lavorare, o comunque, nessuno ti retribuisce come dovrebbe, esponendoti al precariato, o allo sfruttamento.
Collezionista di una serie di sfortunati eventi che lei stessa definisce “bluff“, non accetta il fatto di essere definita una “divanista” quando si è dedicata anima e corpo al lavoro.
Sfruttamento del lavoro: “Amareggiata e stanca di lottare”
Ludovica si definisce amareggiata, e ci racconta: “Ferma da 10 anni, RdC mi ha dato una immensa mano, ma avrei preferito un lavoro”.
Poi ci racconta che ha lavorato, per ben 23 anni: “Ho 23 anni di esperienza nel settore magazzino logistica e trasporti ma niente da fare, non ho diploma né laurea quindi ciccia”.
Ci ha provato, Ludovica, a dare una svolta alla sua vita, e lo ha fatto, a un certo punto, aprendo una attività. Ma, anche lì, lei dice: “Zero supporto dalle istituzioni, che comunque ci avrebbero guadagnato con contributi e tasse”.
E’ una realtà molto comune dei piccoli imprenditori: soffocati quotidianamente da spese e tasse, al punto da dover chiudere i battenti.
Poi, racconta di essere sempre stata una persona volitiva, una che mai si è arresa né è sgattaiolata via di fronte alla possibilità di dover lavorare: “Ho fatto corsi quando nessuno mi obbligava e con la disoccupazione in tasca, tanto che per provare a cambiare rotta ho fatto un corso di sartoria di 6 mesi a Novara”.
Ma nonostante i corsi e la buona volontà, Ludovica spiega: “Il bluff è stato che non riuscirono a trovarmi uno stage in zona, sono della provincia di Torino, e quindi mi sono persa un occasione, anche occasionale, ma pur sempre un lavoro”.
Poi ammette di sentirsi avvilita, e che odia dover ottenere una “elemosina” senza poter portare a casa uno stipendio.
“Non siamo tutti furbetti”
Ludovica si sente delusa, e non ci sta a vedersi appioppare l’etichetta di “furbetta”. “A campare sulle spalle dello Stato da sempre e con ogni mezzo sono veramente in pochi”, osserva la nostra lettrice, che in un lavoro ben retribuito e non troppo distante da casa ci ha sempre sperato.
Ma ormai la disillusione nei confronti di uno Stato a tratti assente si è impadronita di lei, al punto che confessa, non ha più nemmeno voglia di andare a votare, seppure, dice: “so che il mio gesto non è la strada più giusta”.
Il dolore più grande? Dice, “quello di riuscire a malapena a pagare le tasse, ma mai che qualcuno si complimentasse con la gente che resta onesta e responsabile, amando il proprio Paese”.
(Lettera firmata)