Sfruttamento del lavoro. La storia di Simona, ( ndr nome di fantasia) 28 anni, laureata in architettura ed abilitata, da oltre 2 anni affronta la giungla degli studi di architettura e della mancanza di una paga. Il pretesto dei datori? “Si chiama gavetta“. Ecco la sua storia.
“E’ tutta gavetta, un giorno capirai…”
“Mi chiamo Simona e ho 28 anni. Mi sono laureata due anni fa in architettura e ho conseguito l’abilitazione. Dopo la laurea ho fatto tirocinio presso uno studio. Mi dicevano niente paga perché ‘non sei abilitata’. Ho accettato per l’amore che nutro per la mia professione, e perché può starci per i primi tempi non essere pagati. Poi, dopo l’abilitazione, in verità la musica non è cambiata. Abbozzavano scuse, dicevano che mi avrebbero pagata. Io intanto lavoravo, ma non vedevo un soldo….”.
Oltretutto, Simona lavorava 10, a volte anche 11 ore al giorno: “La giornata si apriva alle 9 del mattino, a volte fino alle 19 eravamo in studio. Nei momenti di ‘piena’, capitava di toccare le 12 ore al giorno, andavo via da lì distrutta alle 9 di sera”.
Sfruttamento del lavoro: “Svolgevo la mole di lavoro di due persone”
Così Simona ha cercato lavoro altrove. “Mi sono rimboccata le maniche e ho cercato lavoro presso un altro studio. Da subito grandi promesse. I primi mesi sono andati discretamente. Venivo pagata con un fisso (600 euro al mese, ma per iniziare e per essere un part-time mi andava bene dato che vivo ancora con i miei). Poi, hanno iniziato a chiedermi un temporaneo aumento delle ore lavorative”.
La collega di Simona era andata in maternità, e a lei è stato chiesto di “sostituirla“. “Giusto il tempo di trovare altro personale“, dice Simona. “In realtà, in 5 mesi ho sempre lavorato praticamente per due, in più, hanno iniziato a pagarmi saltuariamente”.
“Non so se gettare la spugna…”
Con questi presupposti, Simona inizia ad avvilirsi. “Mi dicevano che il lavoro allo studio era diminuito, che tanti clienti non pagavano, così mi hanno chiesto di pazientare e che mi avrebbero pagata il mese dopo. Il mese dopo non è mai arrivato. Così alla fine ho deciso di interrompere anche questo rapporto di lavoro”
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Simona si lamenta poi del lavoro giovanile in Italia: “Siamo l’ultima ruota del carro, perché usano come pretesto il fatto che siamo giovani o che abbiamo poca esperienza. Ma se io chiamassi un idraulico o un giardiniere, potrei permettermi il lusso di dirgli che non lo pago perché è giovane? Non penso proprio. Quindi perchè questi datori di lavoro pensano che devo essere loro grata perché mi permettono di fare ‘gavetta’? Sono laureata ed abilitata, sono dunque una professionista a tutti gli effetti, e come tale merito di essere retribuita. Quando questi dottoroni capiranno come gira il mondo nel resto del pianeta, sarà sempre e comunque troppo tardi”
Simona conclude la sua lettera con una triste osservazione: “Onestamente, non so se mettere via il mio sogno di essere un architetto e cambiare proprio mestiere. In fin dei conti, a 28 anni, devo pur costruirmi un futuro lavorativo, che molto probabilmente non sarà nel mondo dell’architettura, la materia per cui ho studiato e per la quale ho sacrificato vacanze, notti insonni sui libri, e tutte le mie energie”