Scatta l’ennesimo allarme in Italia, fanalino di coda in una speciale classifica sulla trasparenza degli stipendi. Siamo gli ultimi, in Europa, per tasso di pubblicizzazione dei salari sulle piattaforme come Indeed. Un primato (al contrario) che si riflette in negativo anche sul tasso di assunzioni e sulla disparità retributiva tra uomini e donne. Ma entro l’estate del prossimo anno, il Governo sarà obbligato a recepire la nuova direttiva Ue sulla trasparenza salariale. E a quel punto non sarà più possibile (speriamo) nascondere a chi cerca lavoro l’ammontare dello stipendio che si merita. Vediamo qui sotto tutti i particolari.
Stipendi poco trasparenti, la ‘vergogna’ dell’Italia
Continuano i record negativi dell’attuale Governo, che a parole si spende per promuovere l’Italianità e la patria, ma a conti fatti non agisce come dovrebbe. Parliamo di lavoro, in questo caso, e in particolare di trasparenza nella comunicazione degli stipendi a chi cerca un impiego. In Italia, ad oggi, c’è il minor tasso di pubblicizzazione dei salari sugli annunci di Indeed, una delle piattaforme più usate per trovare un lavoro. Siamo fermi addirittura a al 19,3% a fine 2024, contro il 50,7% della Francia e il 69,7% del Regno Unito.
Lo sottolinea, con preoccupazione, anche il senior talent strategy advisor di Indeed, Gianluca Bonacchi. Che aggiunge una valutazione lucida sulla questione: “Con il costo della vita che cresce e una percentuale importante di lavoratori italiani che ritiene di essere sottopagata, inizia a essere più comune confrontarsi tra colleghi” sugli stipendi. Eppure per “le aziende italiane” resta un “tabù” parlare di retribuzione, come se la cosa fosse superflua per chi è in cerca di lavoro (peraltro in un clima di pesante inflazione, e prezzi alle stelle, dove uno stipendio decente può davvero fare la differenza).Da un’indagine svolta su più di 500 datori di lavoro, la piattaforma Indeed ha inoltre concluso che meno di un’azienda su due (il 43% del totale) dichiara di adottare una politica di trasparenza sulle retribuzioni. Insomma, a chi assume non sembra interessare l’onestà, negli annunci di lavoro. E il risultato è che spesso gli aspiranti lavoratori ignorano le offerte poco chiare. Oppure, dall’altro lato, le aziende perdono tempo nei processi di reclutamento perché fin da subito non viene chiarito il livello di retribuzione.
I problemi del sistema italiano
Va notato, a onor del vero, che a differenza di altri Paesi l’Italia offre Ccnl con una forte griglia di riferimento. Ma questo ‘punto a favore’ non basta, perché è altrettanto vero che a causa dell’elevata disoccupazione, le imprese hanno sempre avuto un potere negoziale maggiore nelle trattative per determinare i salari dei lavoratori. E siccome questi salari non vengono comunicati in maniera trasparente, questo alimenta un sistema scorretto che non incentiva affatto la ricerca di un impiego.
Insomma, la mancanza di trasparenza contrasta parecchio con quel 71% di italiani che, secondo l’indagine Indeed, dichiarano di essere più disposti a candidarsi per una posizione presso un’azienda trasparente sulle buste paga. Quindi non è accettabile, dal punto di vista delle aziende, lamentarsi della mancanza di lavoratori se le pratiche sono queste. “Non rivelare i salari negli annunci o nelle prime fasi dei colloqui”, aggiunge sempre Gianluca Bonacchi, “spesso allunga solo i processi” e in più “pregiudica la possibilità di trattenere i talenti”.
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La direttiva Ue e il gap di genere
Rincuora però il fatto che molto presto (si spera) le cose cambieranno. Infatti entro l’estate dell’anno prossimo il Governo dovrà per forza recepire la nuova direttiva Ue sulla trasparenza salariale. Ciò significa identificare i “lavori di pari valore” in ogni organizzazione, in modo tale da costruire griglie retributive eque. Ma vuol dire anche dare la possibilità, ai lavoratori, di conoscere i livelli salariali applicati in azienda, per scoprire se si è vittime di una discriminazione. E inoltre, con più trasparenza salariale, sarà possibile affrontare i colloqui di lavoro avendo un ‘potere’ negoziale decisamente maggiore.
Per adesso, resta tuttavia il ‘vulnus’ di un sistema lavorativo italiano poco onesto. Un sistema che alimenta la disoccupazione, e aumenta anche il gap di genere, dal momento che i salari quasi mai vengono discussi ad alta voce e in maniera trasparente. Si spera allora che la direttiva Ue si trasformi in un vero terremoto per le aziende, cosa che converrebbe tra l’altro a tutti. Perché, come conclude Bonacchi, le imprese che “iniziano ad adeguarsi…otterranno un vantaggio competitivo” sulle altre. E i lavoratori potranno solo guadagnarci.