Storie ADI. Gianni (ndr nome di fantasia) ha 59 anni e vive a Genova, in un alloggio popolare. Ha lavorato per oltre trent’anni come muratore, ma qualche anno fa un incidente sul lavoro gli ha lesionato gravemente la schiena.
Nonostante ciò, il suo grado di invalidità è, secondo INPS al di sotto delle soglie medie per essere riconosciuto come disabile. Il che ovviamente gli nega l’accesso all’assegno di inclusione.
“Ho la schiena lesionata ma per INPS sono occupabile”.
Nella sua lettera Gianni ci racconta: “Dopo varie operazioni e terapie, risco a camminare solo grazie a un tutore ortopedico e sopporta dolori cronici quotidiani. Nonostante questo, per l’INPS non sono invalido “al 67%”, la soglia minima per essere riconosciuto ufficialmente come disabile”
Così Gianni è occupabile e non rientra quindi nella platea dei percettori dell’assegno di inclusione.
“Il paradosso è che il mio medico di base mi ha dichiarato non idoneo a lavorare – racconta – ma la commissione dell’INPS dice che posso fare lavori leggeri. Quali? Chi mi assume se non riesco a stare in piedi per più di dieci minuti?”
Storie ADI. La mia pratica rigettata
Gianni scopre che la sua pratica è stata rigettata: non risultando alcuna disabilità, non può accedere ad ADI. “Ma io ho tutto – insiste – cartelle cliniche, radiografie, referti… Non basta?”.
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Il problema, come spesso accade, è un problema burocratico. Per lo Stato, la disabilità non è una questione medica, ma una categoria legale. E Gianni in quella categoria legale non ci rientra. “Ma io come faccio a provvedere alle mie necessità? Non posso pagare le bollette, fare la spesa….”
Nel frattempo, Gianni si trova in un limbo: non può lavorare, ma non può accedere al sostegno, e ogni ente scarica la colpa sull’altro. “Il CAF dice che loro eseguono solo le istruzioni dell’INPS. L’INPS dice che il CAF ha sbagliato ad accogliere la mia richiesta di presentare domanda. Intanto io vivo con 230 euro al mese dalla pensione di mia madre, che prova ad aiutarmi come può”.
Ha provato a rivolgersi a un patronato, ma anche lì gli hanno detto che i tempi per la revisione dell’invalidità sono lunghi. “È come se dovessi dimostrare ogni giorno che non sto bene. Ma a loro non interessa. Se non sei nel sistema, non esisti”.
Oggi Gianni aspetta ancora. Dorme su un divano letto, perché il letto per lui è scomodo, con un cuscino riscaldante sulla schiena per attenuare i dolori: “Mi sento colpevole di non essere abbastanza malato per lo Stato, ma troppo malato per vivere come tutti gli altri”.