Storie RdC. Flavia ha 44 anni, e come ci scrive nella sua lettera: “Ho sempre lavorato, ora mi devo accontentare di lavori stagionali. Soffro di anoressia e attacchi di panico da sempre, forse, ma negli ultimi 5 anni le cose sono peggiorate. Vivo da sola da poco (mio padre non c’è più) e l’INPS non può procedere senza che vi sia una invalidità accertata”.
Sono molte le persone che come Flavia si ritrovano a fare i conti con la burocrazia, con un sistema che presenta delle incongruenze. Troppo spesso chi dovrebbe vedersi riconoscere l’invalidità, viene invece ritenuto perfettamente in salute, anche quando non lo è.
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Chi ha l’anoressia ha diritto all’invalidità: così ha deciso la Corte
Per la Corte di Cassazione, l’anoressia è una “grave patologia” che rende chi ne soffre equiparabile ad un invalido.
Con sentenza 6500/2002, in relazione al caso di Alba F, signora calabrese di 53 anni con una “avversione al cibo”, la Cassazione ha stabilito invece che l’anoressia rientra tra le patologie che danno diritto a una invalidità.
Alba, 1,48 per 37 chili, è affetta da “una complessa condizione che inficia le possibilità di recupero, e se non viene seguita con costanza dai famigliari, smette di alimentarsi”.
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La magrezza di Alba portava a gravi disturbi comportamentali, aggravatisi a tal punto da impedirle di poter “svolgere un lavoro proficuo”.
La Cassazione, nel ritenere infondate le rimostranze del ministero dell’Interno, che riteneva idonea al lavoro la signora, che aveva dunque fatto ricorso, ha infine stabilito che ad Alba andava riconosciuta tale invalidità, alla luce del fatto che: “il deficit intellettivo, la sindrome psico-patologica e l’eccessiva magrezza costituiscono un quadro patologico inemendabile su cui si innestano disturbi del comportamento”.
Tali disturbi, erano tali da inficiare la capacità lavorativa di Alba, riconoscendole dunque un grado severo di anoressia che le dava diritto all’invalidità.
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