L’Italia è stata ufficialmente deferita alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per il prolungato abuso di contratti a termine nel settore scolastico. Questa decisione arriva dalla Commissione Europea, che ha riscontrato la mancata adozione di misure adeguate per contrastare la discriminazione retributiva e l’eccessivo utilizzo di contratti temporanei per il personale docente e ATA (Assistenti Tecnici Amministrativi). Il caso rappresenta un punto di svolta nelle politiche occupazionali della scuola italiana, che si trova a dover affrontare problematiche croniche legate al precariato e alla mancanza di stabilità lavorativa.
Perché l’Italia è stata deferita alla Corte di Giustizia Europea?
La Commissione Europea ha contestato due principali aspetti della normativa italiana riguardante il personale scolastico:
- discriminazione retributiva per gli insegnanti precari: l’attuale legislazione italiana non prevede una progressione salariale per i docenti a tempo determinato, contrariamente a quanto accade per quelli di ruolo, i quali beneficiano di incrementi retributivi legati all’anzianità di servizio. Questa disparità di trattamento è ritenuta una violazione del diritto comunitario, che vieta la discriminazione tra lavoratori con contratti a termine e indeterminati;
- abuso di contratti a termine per il personale ATA: la Commissione ha rilevato che l’Italia non ha adottato misure efficaci per prevenire il ricorso sistematico ai contratti a tempo determinato per il personale ATA, una pratica che continua a creare instabilità e incertezza professionale.
Queste irregolarità hanno portato la Commissione ad avviare, nel 2019, una procedura di infrazione, culminata con la decisione di deferire l’Italia alla Corte di Giustizia nel 2024, a seguito di risposte insufficienti da parte delle autorità italiane.
Abuso di contratti a termine, quanti sono i precari nella scuola italiana?
Il numero di docenti precari in Italia è allarmante: secondo le stime del Ministero dell’Istruzione e del Merito, sono circa 165.000, mentre i sindacati elevano la cifra fino a 250.000, su un totale di quasi un milione di insegnanti. Questo dato sottolinea una criticità strutturale che colpisce il sistema scolastico nazionale, dove l’età media di ingresso nel ruolo per i docenti è di 45 anni, con oltre la metà del corpo docente italiano sopra i 50 anni.
Nonostante il grande numero di precari, le scuole italiane soffrono una grave carenza di insegnanti, in particolare per le materie scientifiche e per le maestre di scuola primaria. L’esaurimento delle graduatorie ha spinto le istituzioni scolastiche a introdurre un nuovo strumento di selezione, l’interpello, che permette alle scuole di pubblicare online gli annunci per la ricerca di supplenti.
Qual è la posizione del governo italiano?
Il Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha commentato la decisione della Commissione Europea, affermando: “Prendiamo atto del deferimento e attendiamo modifiche sul sistema di reclutamento”. Il governo, attraverso la sottosegretaria Paola Frassinetti, ha dichiarato l’intenzione di negoziare una maggiore flessibilità nella riforma del reclutamento prevista dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), con l’obiettivo di favorire la stabilità del personale e migliorare le opportunità di assunzione per i docenti precari.
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Una delle principali difficoltà evidenziate dal governo è il vincolo imposto dal PNRR, che prevede l’assunzione di 70.000 insegnanti tramite concorsi specifici. Tale restrizione ha limitato le possibilità di assunzione nel 2023, ma il Ministero è riuscito a negoziare una proroga fino al 2026, destinando una parte delle assunzioni ai precari.
Quali sono le prospettive per i docenti precari?
L’azione della Corte di Giustizia Europea rappresenta un passo cruciale per garantire condizioni lavorative più eque e stabili per i docenti e il personale ATA in Italia, puntando a una riduzione del precariato. Sebbene il governo abbia mostrato un impegno nel dialogo con la Commissione, la risoluzione delle problematiche legate al precariato scolastico richiede probabilmente riforme strutturali più profonde e un coordinamento continuo con l’Unione Europea.