Negli ultimi anni, il mercato del lavoro in Italia ha visto un contrasto marcato tra la stabilità occupazionale e la retribuzione dei lavoratori. Secondo una recente indagine dell’OCSE, nonostante la crescita economica e i livelli minimi di disoccupazione, l’Italia si conferma uno dei peggiori paesi per la crescita dei salari reali. Infatti, rispetto al quarto trimestre del 2019, i salari reali in Italia sono diminuiti del 6,9%, rendendo il nostro paese il peggiore dell’area euro e il terzultimo tra i 38 paesi OCSE.
Mercato del lavoro in Italia: salari reali in calo e perdita del potere d’acquisto
La riduzione dei salari reali ha avuto un impatto significativo sul potere d’acquisto delle famiglie italiane, limitando i consumi interni nonostante i buoni risultati dell’export. L’OCSE sottolinea che i profitti aziendali attuali potrebbero facilmente assorbire un aumento dei salari, senza dover necessariamente trasferire questi costi sui prezzi finali, con la possibilità di rendere più competitivo il mercato del lavoro in Italia. Questo messaggio è stato ribadito dal governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, il quale ha affermato che l’aumento delle retribuzioni è un “inevitabile recupero del potere d’acquisto” e che le imprese hanno i mezzi per sostenere questa crescita senza ripercussioni sui consumatori.
Il salario minimo: una soluzione a cui il Governo non vuole ricorrere
La discussione sul salario minimo è stata centrale nel dibattito politico italiano per anni. Diversi governi hanno considerato l‘introduzione di una soglia salariale minima stabilita per legge, ma nessuna proposta è mai stata concretizzata. L’attuale governo Meloni ha respinto l’idea di un salario minimo nazionale, basandosi sul fatto che oltre l’80% dei lavoratori è già coperto da contratti collettivi nazionali con paghe medie in linea con i requisiti europei.
Il CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) ha contribuito a questa decisione, affermando che una legge sul salario minimo non è necessaria poiché i contratti collettivi garantiscono già retribuzioni adeguate. Tuttavia, questa posizione ha incontrato l’opposizione delle forze politiche di minoranza, che hanno avviato una raccolta firme per riproporre la discussione in Parlamento.
La soluzione dei collettivi: i primi contratti con salario minimo tabellare
Nonostante l’assenza di una legge nazionale, alcune categorie hanno già iniziato a introdurre salari minimi tramite la contrattazione collettiva. Il primo esempio significativo è stato il contratto collettivo nazionale del settore multi manifatturiero, che stabilisce un salario minimo orario per settori come tessile, chimica, plastica e alimentare. Questi settori hanno fissato retribuzioni minime che variano da 9,67 a 11,34 euro l’ora, stabilendo un precedente importante.
Anche la giustizia italiana è intervenuta nel dibattito sul salario minimo. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27711 del 2023, ha stabilito la necessità di un “salario minimo conforme alla Costituzione” che garantisca una vita dignitosa. Questo ha rinforzato le richieste delle opposizioni per un salario minimo a 9 euro l’ora, sebbene alla fine la questione sia stata rimandata alla contrattazione collettiva.
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Il quadro del lavoro in Italia mostra una forte disparità tra la stabilità occupazionale e la remunerazione. Nonostante i livelli record di occupazione, i salari reali rimangono bassi, non riuscendo a tenere il passo con l’aumento del costo della vita. La mancata introduzione di un salario minimo nazionale continua a essere un tema di dibattito acceso, con implicazioni significative per il benessere dei lavoratori italiani. Mentre alcune categorie stanno prendendo iniziative autonome, resta da vedere se queste azioni saranno sufficienti a colmare il vuoto lasciato dall’assenza di una normativa nazionale.