I tagli di rivalutazione sulle pensioni sono un elemento estremamente dibattuto. Sebbene la decisione del Governo sia addirittura arrivata in Corte Costituzionale, appare molto difficile che la Corte possa dar ragione ai pensionati: questo costringerebbe lo Stato alla restituzione di quanto decurtato, il che a conti fatti di tradurrebbe in una spesa di circa 6 miliardi di euro.
Ma se quindi un tale epilogo appare remoto, è giusto comunque essere al corrente di quanto guadagneremmo senza i tagli. Ecco qui un piccolo prospetto.
Tagli di rivalutazione sulle pensioni: quanto avremmo senza?
Innanzitutto, è bene chiarire che tali tagli colpiscono le pensioni medio-alte, (quelle superiori a quattro volte il trattamento minimo, ovvero circa 2.100 euro mensili lordi).
Col sistema di rivalutazione originario del 1998, si prevedeva che le pensioni venissero adeguate al 100% dell’inflazione per gli importi fino a tre volte il minimo; al 90% per quelle comprese tra tre e cinque volte il minimo, e al 75% per le pensioni superiori.
Ma le nuove normative hanno modificato tale meccanismo: gli adeguamenti sono diventati meno generosi, specialmente per le pensioni più alte.
Una pensione di 2.500 euro lordi mensili, ad esempio, oggi sarebbe di circa 2.827 euro se si tenesse conto del vecchio sistema di rivalutazione. Ma a furia di tagliare, il Governo ha condotto a un assestamento a circa 2.795 euro. La differenza è tanto più evidente quanto più la pensione sale.
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Prendiamo il caso di una pensione di circa 3.000 euro. Con la rivalutazione l’assegno sarebbe salito a 3.231,17 euro nel 2023 e a 3.397,29 euro nel 2024. Ma il meccanismo del governo Meloni ha voluto una rivalutazione del 53% del tasso: quindi:
- l’aumento è di 3.128,79 euro nel 2023
- di 3.218,33 euro nel 2024.
Praticamente, si tratta di un taglio di non poco conto: circa 178,96 euro al mese.
Il dibattito Costituzionale sui tagli
Ed è proprio sulla costituzionalità di tali tagli che gli addetti ai lavori puntano il dito, specialmente se si tiene conto del fatto che le persone con le pensioni più alte sono quelle che hanno decenni di contributi alle spalle. Decenni di contributi che però non sono stati ripagati equamente.
Se c’è infatti chi ritiene legittima la riduzione, che punta a dare respiro al bilancio statale, già affannato e schiacciato da mille incombenze, è altrettanto vero che a subirne le dure conseguenze sono persone che per anni hanno versato contributi, adempiendo ai loro doveri.
E’ chiaro dunque il malcontento tra i pensionati, ma appare comunque improbabile che la consulta, interpellata in merito alla legittimità di tale provvedimento, possa dar loro ragione: significherebbe esporre le casse statali a un esborso esorbitante (quello di 6 miliardi di euro poc’anzi menzionato) che farebbe lievitare il deficit già ai massimi storici da troppo tempo.