Professioni green, mancano i lavoratori
Le piccole e medie imprese arrancano in materia “green”. Lo dice uno studio di Confartigianato, che lancia l’allarme sulle difficoltà di reperimento di personale altamente qualificato in tematiche ambientali. In tutto mancano più di 828mila lavoratori green, pari al 51,9% del totale della manodopera necessaria con queste caratteristiche. E il fabbisogno di queste categorie di professionisti sarebbe sensibilmente più alto tra le piccole imprese: riguarda il 45,8% dei lavoratori richiesti, 10 punti percentuali in più rispetto al 35% delle imprese-medio grandi.
Ma non è semplicemente una questione di rispetto dell’ambiente. La svolta ecologica all’interno delle imprese è fondamentale anche (e soprattutto) per ragioni economiche: perché garantisce un risparmio a lungo termine sui costi di elettricità e gas, grazie a meccanismi virtuosi che premiano l’efficienza e la sostenibilità delle risorse. Va comunque notato, a parziale giustificazione, che la carenza di personale altamente qualificato in professioni green è un problema che riguarda tutta l’Europa.
Il 38,9% delle piccole e medie imprese Ue, infatti, denuncia una scarsità di competenze green che impedisce alle imprese stesse di essere più sostenibili a livello ambientale. In testa alla classifica dei Paesi meno virtuosi, in ambito ecologico, siede la Francia (44,9%), seguita a ruota dall’Italia (42,9%). Mentre Germania (39,4%) e Spagna (34,8%) se la cavano decisamente meglio.
I settori e le regioni più in difficoltà
Sempre secondo i dati forniti da Confartigianato, alcuni settori specifici sarebbero più in difficoltà di altri nel reperimento di lavoratori green. La carenza di questo tipo di personale è più alta nel campo delle costruzioni (62%), ma sono con l’acqua alla gola anche il settore manifatturiero (con il 53,1%) e quello dei servizi (49,7%). Inoltre, esistono notevoli differenze su base regionale.
La maggiore carenza di lavoratori con competenze green è registrata in Trentino-Alto Adige (64,6% di personale irreperibile), e a seguire troviamo una serie di regioni con percentuali (negative) molto simili: il Friuli-Venezia Giulia (59,3%), l’Umbria (57,7%), il Veneto (56,9%), la Liguria (56,2%), l’Emilia-Romagna (55,5%), il Piemonte e la Valle d’Aosta (55%), la Lombardia (54,1%), l’Abruzzo (53,6%), e infine la Toscana (52,4%) e la Basilicata (52%). Come si evince dai dati, il problema delle competenze ambientali è endemico e riguarda l’intera Penisola, da nord a sud, seppure con significative differenze da zona a zona.
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Servono nuove politiche
Al momento risulta complicato intravedere uno spiraglio in questi dati. Come evidenzia il presidente di Confartigianato Imprese, Marco Granelli, “non possiamo permetterci di lasciare scoperti centinaia di migliaia di posti di lavoro”, perché altrimenti la tanto decantata transizione energetica diventerebbe un’utopia irraggiungibile. Servono lavoratori e serve formarli al più presto in tema di sostenibilità e ambiente.
“La transizione energetica e ambientale si realizza anche con nuove politiche formative”, conclude infatti Granelli, “con un rapporto più stretto tra scuola e imprese, per preparare i giovani ad entrare nel mondo del lavoro con le competenze adatte e a rispondere alle nuove esigenze delle imprese sempre più orientate alla tutela dell’ambiente”. Resta da capire se le politiche messe in campo dal Governo, nel breve e medio termine, saranno all’altezza di questi compiti. E se chi comanda avrà il buon senso di investire di più nelle professioni green.