Con la prossima manovra di bilancio, si annunciano nuove risorse per un aumento stipendi scuola, ma il tanto decantato incremento del 6% sugli stipendi dei docenti non è che una toppa su una ferita aperta. Mentre il Governo si affanna a presentare questo aumento come una vittoria, i numeri raccontano una storia diversa, fatta di immobilismo, di stipendi che restano ai minimi europei, e di un corpo docente che vede ridursi sempre di più il proprio potere d’acquisto.
Perché l’aumento del 6% non basta?
L’annuncio del rinnovo del contratto scuola per il biennio 2022-2024, con un presunto aumento salariale medio del 6%, sembra una boccata d’aria fresca. Ma è davvero così? Siamo lontani dal colmare il gap con il resto d’Europa. Nel migliore dei casi, l’aumento porterà lo stipendio medio di un docente italiano a poco più di 2.000 euro. Sì, un piccolo aumento rispetto ai 28.773 euro annui del 2021/2022, saliti a 30.354 nel 2022/2023, ma si tratta comunque di spiccioli, considerando il caro vita e l’inflazione galoppante che ha divorato gran parte dei risparmi delle famiglie. Un 6% non risolve nulla quando l’inflazione da sola cresce ben più rapidamente di questo misero adeguamento.
Ma il confronto con l’Europa è impietoso. Secondo i dati Eurydice, gli stipendi medi dei docenti italiani rimangono drammaticamente bassi rispetto ai loro colleghi europei. In Germania o in Francia, gli insegnanti guadagnano cifre decisamente superiori, e non parliamo solo di stipendi ma di condizioni di lavoro, rispetto per la professione, possibilità di avanzamento di carriera. Quello che viene concesso ai docenti italiani è poco più di un’elemosina.
La retorica del “fare di più”
Da anni, ogni manovra finanziaria sembra promettere la svolta. Ogni governo di turno annuncia di voler investire nell’istruzione e nei suoi insegnanti, ma il risultato finale è sempre lo stesso: briciole. Questa volta, ci sono 200 milioni in più sul piatto, ma cosa cambierà davvero? Un aumento del 6% su stipendi già bassi è una beffa, non un progresso. È sufficiente a garantire dignità a una professione fondamentale per il futuro del Paese? Certamente no.
È fin troppo facile parlare di riforme e di priorità per la scuola, ma la realtà è che chi sta al governo, evidentemente, non ha la minima idea di cosa significhi essere un insegnante oggi in Italia. La scuola pubblica è schiacciata da un sistema che premia solo i tagli, sacrificando la qualità e la valorizzazione del personale. Il paradosso è che ci si aspetta che i docenti formino le nuove generazioni, preparando gli studenti a competere nel mercato globale, ma poi si abbandonano gli insegnanti stessi, relegandoli a stipendi che non sono competitivi nemmeno a livello locale.
Sciopero: l’unica risposta possibile
Davanti a questa ennesima farsa, il sindacato Flc Cgil ha proclamato uno sciopero nazionale per il 31 ottobre. L’inflazione ha già eroso la busta paga di migliaia di docenti, rendendo impossibile far fronte alle spese quotidiane con uno stipendio che non cresce al passo con il costo della vita. E non è solo una questione economica: è una questione di dignità. Continuare a ignorare le necessità dei docenti significa danneggiare l’intero sistema educativo.
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Lo sciopero non sarà soltanto una protesta per gli stipendi, ma un grido di allarme per il futuro dell’istruzione in Italia. Se non si inizia a investire seriamente nella scuola, rendendola attrattiva e competitiva anche a livello retributivo, continueremo a perdere insegnanti qualificati, demotivati da un sistema che non li valorizza. E senza insegnanti competenti e motivati, il futuro delle nuove generazioni è a rischio.
Un settore non competitivo e senza attrattiva
Oltre agli stipendi, c’è una questione ancora più ampia da affrontare: la scuola italiana è ormai un settore senza attrattiva per i giovani laureati. Le prospettive di carriera sono limitate, e la retribuzione, come abbiamo visto, è ridicola se confrontata con altri paesi europei. In questo contesto, chi può davvero sorprendersi se sempre meno giovani scelgono l’insegnamento come professione? Non solo si entra tardi, dopo anni di precariato e contratti a tempo determinato, ma si resta intrappolati in una progressione di carriera lenta e frustrante. I talenti migliori se ne vanno, cercando opportunità all’estero o in settori che offrono stipendi adeguati alle competenze e al lavoro svolto.
Aumento stipendi scuola: la solita soluzione temporanea
È giunto il momento che il Governo affronti il problema con serietà e investa davvero nell’istruzione. Un aumento del 6% non basta: servono interventi strutturali, servono investimenti a lungo termine e, soprattutto, servono risorse adeguate per rendere la professione dell’insegnante di nuovo rispettata e ambita. Continuare a giocare con soluzioni temporanee e incrementi ridicoli non farà che peggiorare la situazione.