Pensioni minime: al vaglio del governo la possibilità di portarle ad una soglia che vada oltre i 621 euro. L’intervento è ora al vaglio del governo, forse anche per ammansire le tensioni createsi ultimamente in materia di pensioni, tema caldo e nota dolente della politica italiana.
Pensioni minime oltre i 621 euro: un aumento che potrebbe diventare strutturale
Le pensioni minime, attualmente pari a 614,77 euro dal 2024, vedranno una proroga dell’incremento temporaneo già previsto per quest’anno, che dovrebbe condurle a un aumento a 621 euro.
Si tratta di una misura in verità non eccessivamente onerosa dal punto di vista economico, che però vuole rappresentare un segnale di attenzione su un tema sempre caldo come quello delle pensioni.
Mentre l’esecutivo non intende apportare modifiche per il 2025, confermando misure come l’Ape sociale, Opzione donna e Quota 103 con le già vigenti restrizioni introdotte l’anno scorso, la proroga dell’aumento delle pensioni minime mostra d’altro canto un certo interesse da parte dell’esecutivo stesso sul tema.
Quota 103: verso quale destino?
Per Quota 103 si prevede la conferma del ricalcolo contributivo dell’intera pensione per chi vi accede e il limite massimo dell’assegno fino al raggiungimento dell’età pensionabile (2.394 euro al mese nel 2023). Previsto inoltre anche l’allungamento delle finestre di uscita a sette mesi nel settore privato e nove nel pubblico.
Si tratta di un forte incentivo che ha spinto molti lavoratori, pur avendo raggiunto i requisiti, a continuare a lavorare, in attesa di maturare i 42 anni e 10 mesi di contributi necessari per la pensione anticipata senza il ricalcolo contributivo completo.
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Bonus Maroni: l’incentivo per prolungare la permanenza al lavoro
Il “Bonus Maroni” il cui obiettivo sembra essere quelli di diventare anch’esso un ulteriore incentivo a restare al lavoro, non ha funzionato perché fiscalmente svantaggioso.
Il bonus consente, infatti, di ricevere in busta paga i contributi a carico del lavoratore (il 9,19% dello stipendio) rinunciando all’accredito contributivo, ma in pochi hanno accettato tali considioni: nel 2024 è stato utilizzato da appena poche centinaia di persone, motivo per cui il governo sta valutando di orientare il bonus verso l’esenzione fiscale, o verso una riduzione della tassazione, sul modello degli aumenti salariali previsti dalla contrattazione di secondo livello.
Si valuta anche la possibilità di accreditare in modo figurativo l’importo del bonus e di estenderlo a chi ha maturato 42 anni e 10 mesi di contributi, indipendentemente dall’età.
Tuttavia, questa proposta richiede un investimento di ulteriori risorse.
TFR e silenzio assenso
Possibili novità anche in materia di TFR. Si sta considerando infatti l’introduzione di un nuovo semestre di “silenzio-assenso” per il conferimento del TFR alla previdenza integrativa.
Questo varrebbe non solo per i nuovi assunti, ma anche per i lavoratori già in servizio. Questi ultimi, se non hanno ancora destinato il loro TFR ai fondi pensione e non intendono farlo, dovranno esplicitarlo. Inoltre, si studia la possibilità per i dipendenti pubblici con 65 anni di età e 42 anni e 10 mesi di contributi di restare al lavoro su base volontaria.