Rinuncia assegno di inclusione: fare rinuncia all’assegno di inclusione è possibile ed è anche piuttosto semplice, compilando il modulo rinuncia all’assegno di inclusione rintracciabile sul portale INPS.
Ma cosa accade dopo, e da quando ha efficacia la rinuncia?
Rinuncia assegno di inclusione: come farla?
La rinuncia, stando alle disposizioni INPS, ha effetto immediato, a partire dal momento della rinuncia stessa. Se per un qualsiasi motivo la rinuncia non dovesse avere efficacia immediata, il rinunciante è tenuto a restituire tutte le somme ottenute a seguito della rinuncia stessa.
Sul modulo di rinuncia vanno indicati il numero di protocollo nonché la data del riconoscimento della prestazione stessa.
Se rinuncio ad ADI devo proporre nuova domanda?
Un’altra preoccupazione che riguarda i percettori della domanda per l’ADI è se successivamente alla rinuncia debbano poi proporre una nuova domanda per l’assegno di inclusione. La risposta è affermativa. La rinuncia annulla la domanda precedente, quindi il percettore ADI dovrà presentare nuova domanda e ricominciare il nuovo iter da capo.
Esempi di casi di rinuncia
La rinuncia può essere effettuata in un qualsiasi momento, quando ad esempio si ha una variazione del nucleo che prevede un aumento dell’ISEE familiare tale da non poter più rientrare tra i beneficiari, ad esempio. Un altro esempio è quello del trasferimento all’estero, dal momento che per percepire ADI è necessaria la residenza effettiva in Italia.
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Revoca, decadenza e sospensione
Diversi sono invece i casi di revoca, decadenza e sospensione. In tal caso non è il beneficiario a intervenire sulla propria sfera ma è l’INPS che pone la domanda in stato di revoca, decadenza o sospensione.
La revoca è il più alto grado di meccanismo con il quale il beneficiario viene in un certo qual modo sanzionato. Solitamente interviene qualora vi siano incongruenze o false dichiarazioni circa il proprio stato lavorativo e patrimoniale. In questo caso l’ex beneficiario è tenuto anche a restituire le somme già percepite.
La decadenza opera invece nei casi in cui:
- non sottoscrive il patto di servizio personalizzato;
- non partecipa, in assenza di giustificato motivo, alle iniziative di carattere formativo o di
riqualificazione o ad altra iniziativa di politica attiva o di attivazione - non frequenta regolarmente un percorso di istruzione degli adulti di primo livello previsto
per coloro di età compresa tra i 18 e i 29 anni; - non accetta, senza giustificato motivo, un’offerta di lavoro ai sensi dell’articolo 9 del
decreto-legge n.48/2023, relativamente ai componenti del nucleo attivabili al lavoro; - non rispetta gli obblighi di comunicazione relativi alle variazioni del reddito o del nucleo
come previste all’articolo 3, commi 5, 6, 8, e 10 del decreto-legge n. 48/2023, o effettua
comunicazioni mendaci in modo da determinare un beneficio economico maggiore; - non presenta una DSU aggiornata in caso di variazione del nucleo familiare;
- viene trovato, nel corso delle attività ispettive svolte dalle competenti autorità, intento a
svolgere attività di lavoro, senza aver provveduto alle prescritte comunicazioni previste
all’articolo 3 del decreto-legge in argomento. (in quei casi, opererebbe infatti la sospensione del sussidio per la durata del contratto di lavoro)
La decadenza non comporta la condanna alla restituzione delle somme già percepite, dunque non ha valore retroattivo.
La sospensione opera invece nei casi in cui vi siano difformità sanabili o particolari circostanze che, se superate, possono far riprendere il normale decorrere dell’erogazione del sussidio.