Storie ADI: protagonista della storia di oggi è Marta, mamma 32enne che ha difficoltà a seguire i corsi ADI. Quando Marta ha saputo dell’Assegno di Inclusione (ADI), si è sentita subito sollevata: anni di lavoretti precari, che non le permettevano di arrivare a fine mese serenamente. ADI sarebbe stato un punto di conforto in più.
32 anni, due figli piccoli. Alice, 7 anni e Matteo 5. Alice è una mamma single: il loro papà è andato via poco dopo la nascita del secondo figlio. Ma ora rischia di perdere ADI perché i corsi e le proposte di lavoro del Centro Impiego non le permettono di conciliare la sua vita già caotica, tra il suo lavoro e la cura dei bambini.
Storie ADI “Pensavo di trovare supporto e comprensione”
“Quando mi hanno spiegato come funzionava l’ADI mi sono detta: almeno per un po’ riuscirò a respirare. E magari riuscirò anche a costruire qualcosa di stabile”. Ma così non è stato.
Come previsto dal nuovo sistema, Marta ha completato il Patto di attivazione digitale, e ha dato la sua disponibilità al lavoro: ha avuto i primi incontri con i servizi sociali, e le è stato proposto un percorso di reinserimento.
Ma quando sono iniziati i corsi di formazione obbligatori, la realtà si è fatta più dura. Le lezioni, che dovrebbero aiutarla a “rientrare nel mercato del lavoro”, si tengono in una sede a quasi un’ora di mezzi da casa, tra le 14:00 e le 17:00, tre volte a settimana.
“A quell’ora io ho i bambini da prendere a scuola. Alice esce alle 13:30, Matteo alle 16. Non posso lasciarli da soli. E non ho nessuno a cui affidarli. Non ho genitori qui, non posso permettermi una babysitter. E allora? Come faccio?”
I percorsi di reinserimento sono privi di flessibilità
Marta ha chiesto di poter frequentare un corso online, o magari in orari serali. Ha provato a spiegare la sua situazione familiare, sperando che ci fosse margine di adattamento. Ma la risposta è stata sempre la stessa:
“Il corso è questo. O lo frequenta, o decade dal beneficio”
Nessuna possibilità di concordare una soluzione: ma chi ha dei figli piccoli e nessun sostegno, come fa?
Non un paradosso il fatto che ADI, pensato per nuclei con figli, sia strutturato in modo da NON venire incontro alle necessità di chi ha figli?
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“Non mi tiro indietro, ma datemi una mano”
“Io non ho paura della fatica. Ma fatemi almeno lavorare con dignità. Non mi obbligate a scegliere tra la mensa e un futuro migliore per i miei figli”
Una questione di ascolto (e buonsenso)
La storia di Marta non è isolata. Sono tante le madri (e i padri) soli che si trovano a dover barcamenarsi tra obblighi formativi, orari rigidi e assenza di servizi di conciliazione. Il rischio è che, senza un’adeguata rete di sostegno e una maggiore flessibilità organizzativa, l’Assegno di Inclusione diventi un ostacolo in più.
Servirebbero quindi corsi modulabili, supporti alla genitorialità, e soprattutto un approccio personalizzato.