Come si è evoluto il sistema pensionistico negli anni? Il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo segna lo spartiacque di un modo di guardare alla pensione totalmente diverso e a tratti penalizzante, in special modo per i giovani. Vediamo insieme come si è evoluto il sistema pensionistico negli anni.
Sistema pensionistico: il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo
Il sistema retributivo è stato il sistema con in quale venivano calcolate le pensioni italiane fino agli anni ’90. Per farla semplice, il sistema retributivo calcolava la futura pensione del lavoratore su una base percentuale del suo stipendio medio e della sua anzianità.
Col passare del tempo, però, la longevità della popolazione da un lato e dall’altro lato il lento calo della natalità hanno portato a far ritenere insostenibile un sistema fondato su tali meccanismi. Per questo il sistema retributivo è stato via via sostituito con quello attuale, che è quello contributivo. A segnare la fine del sistema retributivo fu la riforma Dini, con la legge 335/1995. Il passaggio avvenne in modo graduale, e si vennero a creare tre diversi gruppi:
- i lavoratori che a fine 1995 avevano almeno 18 anni di anzianità contributiva hanno mantenuto il regime retributivo;
- i lavoratori con un’anzianità contributiva inferiore ai 18 anni alla stessa data è stato attribuito il c.d. “regime misto”, cioè retributivo fino al 1995 e poi contributivo per gli anni successivi (metodo contributivo prorata);
- i neoassunti dopo il 1995, ai quali è stato ovviamente applicato il regime di calcolo contributivo.
Contrariamente al sistema retributivo, il sistema contributivo si basa esclusivamente sulla quantità di contributi versati in tutto l’arco della carriera di un lavoratore, sbarrando dunque le porte della pensione ai lavoratori che non hanno accumulato contributi sufficienti per potere accedere al pensionamento.
E’ chiaro dunque come il sistema contributivo, rispetto a quello retributivo, possa essere ritenuto penalizzante per tutta una serie di ragioni che ora andremo ad esaminare.
Sistema contributivo: un sistema penalizzante per i giovani
Seguendo i parametri imposti dal sistema contributivo, è ovvio che chi è sottoposto a tale regime è più penalizzato rispetto a chi invece ha lavorato e vissuto sotto le norme del sistema retributivo.
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Il problema maggiore è rappresentato dall’occupazione giovanile e dai problemi insiti nella nostra società, che oggi fanno sì che si entri nel mondo del lavoro spesso molto più tardi rispetto al passato (e che si sia esposti a periodi di disoccupazione).
Facendo un esempio concreto, una persona che ad esempio deve conseguire una laurea e una specializzazione, a dopo di che cercare un lavoro (con tutte le enormi difficoltà che la ricerca di un lavoro comporta ad oggi), finirà per entrare nel mercato del lavoro abbastanza “tardi” rispetto ai predecessori che sono stati sotto il sistema retributivo. Di conseguenza, andrà in pensione più tardi, perché dovrà raggiungere gli anni di contributi necessari. Si stima infatti che in media, i giovani d’oggi entrino nel mondo del lavoro all’età media di circa 24 anni, molto più tardi rispetto alla generazione che li ha preceduti.
Ad oggi, si stima che i giovani potranno avere la speranza di andare in pensione non prima dei 67 anni: negli anni ’90 l’età media della pensione di aggirava attorno ai 55-60 anni.
Il sistema contributivo ha inoltre impattato anche sulle pensioni anticipate, sopra le quali pendono ora parametri più restrittivi e sempre più difficili da raggiugere.
Il problema delle disparità di trattamento
Un altro problema che caratterizza la crasi tra sistema contributivo e retributivo solleva delle questioni di legittimità costituzionale, tuttavia sempre respinte dalla Corte.
In passato la legge Dini fu infatti molto contestata, per possibili violazione dei principi di eguaglianza, ragionevolezza e affidamento.
Il fatto di aver sottoposto i lavoratori ante ’95 e quelli post ’95 a due regimi differenti, dei quali uno dei due è palesemente sbilanciato in peggio, ha infatti fatto domandare a giuristi ed esperti di settore se tale disparità possa essere ritenuta giustificabile.
La Corte, nonostante i rilievi mossi da molti, ha generalmente sostenuto la validità delle riforme, considerandole una risposta necessaria alla sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico: in parole povere, sebbene la Legge Dini creasse una effettiva disparità di trattamento, tale disparità era ed è giustificata dalle esigenze di sostenibilità dei costi da sostenere per lo Stato, che altrimenti non sarebbero più sostenibili alla luce del calo di natalità e dell’invecchiamento della popolazione.