Il 16 maggio è stata approvata una nuova direttiva dell’Unione Europea (UE) che riguarda la parità di stipendio tra uomini e donne. La direttiva impone obblighi ai datori di lavoro e offre la possibilità alle vittime di discriminazione salariale di richiedere un risarcimento danni. Gli Stati membri avranno tre anni di tempo per stabilire le sanzioni e integrare le norme nel loro quadro legislativo.
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Questo rappresenta un passo importante verso l’eliminazione delle disparità di retribuzione di genere e promuove l’uguaglianza nell’ambito lavorativo all’interno dell’Unione Europea.
Parità di stipendio tra uomini e donne: la direttiva
L’obiettivo della nuova direttiva UE sulla parità di stipendio tra uomini e donne è colmare un divario ancora esistente. Secondo i dati più recenti a livello europeo, la disparità salariale di genere si attesta al 12,7%. Negli ultimi due anni si è registrata una leggera riduzione in quasi tutti i paesi, inclusa l’Italia, ma è rimasta stabile in Ungheria, Romania e Portogallo. Tuttavia, si può affermare che la differenza salariale tra i sessi sia sostanzialmente stabile da almeno 10 anni.
Gli autori della legge sostengono che la disparità salariale espone le donne a un maggior rischio di povertà e contribuisce al divario nelle pensioni, che a livello europeo si attesta intorno al 30%.
La direttiva, descritta nel documento ufficiale dell’UE numero 970 del 2023 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE, mira a rafforzare il principio della parità di stipendio tra uomini e donne per un lavoro uguale o di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i meccanismi di applicazione ad esso associati.
La normativa sulla trasparenza retributiva impone alle imprese l’obbligo di fornire informazioni sulle retribuzioni di uomini e donne per lavori di pari valore e di intervenire se il divario salariale supera il 5%.
La direttiva prevede anche disposizioni sul risarcimento delle vittime di discriminazione salariale, nonché sanzioni per i datori di lavoro che non rispettano le norme.
Infine, nel caso di azioni legali per presunte violazioni della parità salariale, spetta al datore di lavoro dimostrare l’assenza di discriminazione diretta o indiretta. In altre parole, l’onere della prova ricade interamente sull’impresa e non sul singolo lavoratore.
Gli obblighi dell’UE
La nuova direttiva dell’Unione Europea sulla parità retributiva impone agli Stati membri l’obbligo di garantire il rispetto della legge. Questo riguarderà in particolare gli appalti pubblici e le concessioni. I datori di lavoro dovranno fornire informazioni chiare e dettagliate sui criteri utilizzati per determinare la retribuzione, i diversi livelli salariali e la progressione economica all’interno dell’azienda.
In Italia, questa nuova normativa comporterà una maggiore trasparenza per i datori di lavoro. Ci saranno conseguenze significative soprattutto per i ruoli dirigenziali, dove le politiche salariali dovranno essere ben documentate e giustificate. Per le posizioni di livello più basso, invece, i contratti collettivi già impongono l’applicazione di salari minimi, garantendo l’uguaglianza tra lavoratori e lavoratrici.
È importante precisare che l’obbligo di comunicare annualmente all’autorità nazionale competente il divario contributivo riguarda solo le aziende che impiegano più di 250 dipendenti. Per le imprese di dimensioni più ridotte, inizialmente sarà richiesta una comunicazione triennale, ma solamente per quelle con più di 150 dipendenti.
Questa distinzione nell’obbligo di comunicazione tiene conto delle dimensioni delle aziende e cerca di adattare gli oneri amministrativi in modo proporzionale alle risorse disponibili. Tuttavia, è importante notare che la direttiva mira comunque a promuovere la trasparenza e l’eliminazione delle disparità salariali, indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda.
Le sanzioni
La direttiva UE sulla parità di stipendio tra uomini e donne prevede che gli Stati membri dell’Unione Europea siano responsabili di stabilire le modalità di attuazione delle sanzioni, compresi gli importi delle multe e altre misure aggiuntive. La normativa offre alle lavoratrici la possibilità di chiedere un risarcimento in caso di discriminazione salariale basata sul genere. Il risarcimento può includere retribuzioni arretrate, bonus o altri tipi di pagamenti non corrisposti e danni morali.
Inoltre, la direttiva inverte l’onere della prova: precedentemente, spettava al lavoratore o alla lavoratrice dimostrare la discriminazione salariale, ma ora il datore di lavoro ha il compito di dimostrare l’assenza di discriminazione. Questo sposta la responsabilità dalla vittima alla parte accusata.
L’Unione Europea ha sottolineato che in caso di violazioni, le sanzioni devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive, per garantire il rispetto delle norme sulla parità retributiva.
La direttiva si estende anche alla cosiddetta discriminazione intersezionale, che riguarda forme di disuguaglianza o svantaggio legate al genere, all’etnia e alla sessualità.
Infine, la direttiva include disposizioni che garantiscono le esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici con disabilità, riconoscendo la necessità di affrontare la discriminazione multipla che può essere sperimentata da queste persone.
Le tempistiche
La direttiva dell’Unione Europea è diventata ufficialmente legge dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE il 16 maggio. Ora i singoli Stati membri dell’UE hanno tre anni di tempo per recepirla e adattare la loro legislazione nazionale per includere le nuove norme.
Dopo due anni dal recepimento, anche le imprese con più di 100 dipendenti (inizialmente solo quelle con più di 150 dipendenti) avranno l’obbligo di comunicare informazioni precise sulle retribuzioni in base al genere ogni tre anni. Tuttavia, per le imprese con più di 250 dipendenti, l’obbligo di comunicazione avverrà annualmente.
È importante sottolineare che il diritto alla parità di stipendio tra uomini e donne per lo stesso lavoro o per lavori di pari valore è già sancito all’articolo 157 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) e dalla direttiva CE numero 54 del 2006. Tuttavia, queste disposizioni non sono state spesso applicate in modo efficace, principalmente a causa della mancanza di trasparenza, che ha impedito alle vittime di presentare ricorsi in caso di discriminazione salariale.
Con l’imposizione della trasparenza retributiva per legge, si prevede che le vittime abbiano una maggiore possibilità di rilevare la discriminazione e di fare valere i loro diritti attraverso i ricorsi appropriati.
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